Amore senza “erre”
Il
parco era l’unico luogo dove si poteva fare jogging senza il rischio di essere
investiti dalle auto. Per tutto il giorno si potevano incontrare solitari
jogger oppure gruppi di corridori che scaricavano lo stress e bruciavano le
calorie con una sana corsa.
Le
due ragazze erano state fino a qualche anno prima amiche inseparabili, ma dopo
che Laura era stata assunta in una grossa azienda della vicina città,
riuscivano a vedersi solo di sera e approfittavano di quelle poche ore per
chiacchierare e dedicarsi al loro sport preferito. Di solito andavano a correre
in palestra utilizzando il tapis roulant; da qualche settimana, però, Laura
aveva convinto Sabrina a recarsi al parco come facevano tanti loro amici.
«Prima
o poi ci accadrà qualcosa di brutto, se insisterai a portarmi fra questi viali
fin dopo il tramonto» protestò Sabrina, alla quale non sfuggivano gli sguardi
lascivi che gli uomini lanciavano alla sua bella amica.
«Ti
ho già spiegato perché desidero venire a correre qui. È l’unico modo per
incontrare l’uomo che lavora nel magazzino della mia ditta. È anche lui di
Borgo e ho saputo dal suo collega che viene tutte le sere a fare sport in
questo parco».
«Non
è più facile che lo incontri in ditta oppure quando vi recate a lavoro? Abitate
a pochi rioni di distanza e fate tutti i giorni la stessa strada».
Laura
rimase in silenzio, era difficile spiegare i sentimenti che provava. Da quando
era una ragazzina, tutti gli uomini avevano ammirato la sua bellezza, ma
Francesco, sin dai tempi in cui lo incontrava di mattina mentre si recava a
scuola e passava davanti alla fabbrica di conserve alimentari dove lui
lavorava, restava sempre sulle sue e non le rivolgeva mai la parola. Solo di
tanto in tanto, quando si scontravano quasi, lui la guardava per qualche
istante annuendo un “Salve!” con la voce malinconica, turbandola più che se le
avesse fatto un complimento.
Gli
anni erano passati e lei si era preoccupata di cercarsi un buon impiego piuttosto che prendere in considerazione le
tante proposte sentimentali che riceveva. Il lavoro come impiegata non la
stimolava molto, ma le permetteva di essere indipendente e di progettare anche di
lasciare la casa dei genitori per sistemarsi definitivamente in città.
L’incontro con Francesco, però, l’aveva confusa. Se una volta era bello adesso
si poteva definire addirittura stupendo. Il desiderio di conoscerlo, anziché
affievolirsi con il tempo, era diventato sempre più pressante ed escogitare
occasioni per vederlo era diventato un pensiero fisso.
Alzò
lo sguardo sul viale e ammiccò all’amica.
«Guarda,
è lui!».
«Avevi
ragione, è proprio affascinante!» confermò Sabrina. «Strano che non lo vedo mai
in giro per il paese. Eppure esco tutte le sere e frequento i migliori locali
del posto».
«Anche
in ditta sta sempre in disparte e più della compagnia delle persone preferisce
passare il tempo libero prendendosi cura di un cagnolino randagio che i
magazzinieri hanno adottato. Non ti nego che mi piace più di quanto avrei mai
creduto».
Francesco
passò con la sua rapida falcata vicino alle due ragazze che continuavano a
osservarlo, riconoscendo Laura.
«Salve!»
disse con la voce leggermente affannata, alzando una mano in segno di saluto,
per poi svanire nei viali con la stessa velocità con cui era comparso.
«Sarà
pure bello come un Adone, ma poteva anche rallentare, vedendo che noi stavamo
guardando verso di lui» disse Sabrina.
«Penso
sia timido».
«Con
un fisico del genere? Presuntuoso piuttosto!» replicò Sabrina un po’ piccata.
«Non
credo. Il suo sguardo è sempre molto triste e sembra che eviti la gente. Appena
lo incrocio al lavoro, se continua a restare muto, gli rivolgerò io la parola».
«Sei
sicura? Vuoi prendere tu l’iniziativa con tutti gli uomini che ti cascano ai
piedi?».
«A
me interessa solo lui. Mi piace, e vorrei che mi parlasse con la stessa
dolcezza con cui mi guarda. Non credo sia un presuntuoso, forse è solo timido.
Quando mi avvicino, apre la bocca per parlarmi ma poi resta in silenzio e
abbassa gli occhi, allontanandosi senza aver pronunciato una parola».
Francesco
aveva aumentato il ritmo della corsa e nonostante sentisse il petto che gli
scoppiava per lo sforzo, non intendeva fermarsi. Era come se volesse farsi del
male per punirsi della sua insicurezza. Ogni volta che incontrava Laura il suo
cuore sobbalzava, ma le labbra restavano serrate, nel timore che se avesse
parlato lei lo avrebbe deriso come avevano fatto in passato tante altre
persone.
Nonostante
si fosse rivolto ai migliori logopedisti, nessuno di loro era riuscito a
curarlo dell’accentuata dislalia funzionale che gli impediva di pronunciare la
lettera “erre”. Sin da ragazzo i suoi coetanei lo prendevano in giro per il suo
difetto di pronuncia, e con il tempo si era chiuso in se stesso, abbandonando
persino la scuola pur di nascondere a tutti il suo handicap. Come operaio,
invece, poteva essere pure muto per quel che importava ai datori di lavoro.
Si
dedicava anima e corpo allo sport per sfogare la frustrazione e non farsi
deprimere dalla consapevolezza di vivere in una società pronta a deridere chi
fosse diverso dalla massa. Con le attività fisiche aveva acquisito un fisico
statuario e l’interesse delle donne verso di lui era cresciuto, accrescendo
paradossalmente i suoi disagi. Prima bastava evitare di incontrare le ragazze
per non far scoprire la sua patologia, ora erano le donne che lo fermavano e
gli rivolgevano la parola. E ogni volta che lui parlava, le stesse che fino a
poco prima erano state attratte dal suo fisico armonico, sorridevano e facevano
commenti ironici con le loro amiche.
Purtroppo
la sensibilità non era di questo mondo e lui si era convinto che era meglio se
fosse rimasto solo con i suoi silenzi, ma aveva incontrato Laura e tutto era
ridiventato difficile da sopportare. Avrebbe voluto dichiararle l’amore che
provava per lei dal primo momento che l’aveva vista, ma persino nei pensieri,
nell’immaginare tutte le parole che avrebbe voluto dirle, non riusciva a
formulare quella maledetta “erre”.
«Come
posso dirle ti abbaccio fotte fotte senza
che lei si metta a ridere e mi prenda in giro?» pensava malinconicamente. «Sono
ridicolo con questo mio difetto di pronuncia ed è meglio che la dimentichi se
non voglio soffrire ancora di più. Meglio essere considerato un orso scontroso
che essere deriso dalla donna di cui sono innamorato».
Le
parole che avrebbe voluto dirle, però, non intendevano restare sepolte nelle
profondità della sua anima e ogni volta che pensava a Laura decine di frasi
d’amore arrivavano di corsa fino alle sue labbra per morire annegate nel mare
dei suoi silenzi. E sempre di più il cuore di Francesco ne era lacerato; sempre
di più amava la sua Laura.
I
giorni seguenti gli capitò di incontrarla più volte del solito. Fece fatica a trattenersi
nell’ammirarla da lontano. Amava tutto di lei, dal suo sorriso al suono della
sua voce, e non poterle parlare lo affliggeva.
Dal
suo canto, ogni volta che Laura notava di essere osservata da lui, si fermava e
aspettava che si avvicinasse, ma Francesco impallidiva, chinava il capo e si
allontanava triste.
L’uomo
non si era reso conto che i suoi sguardi erano stati eloquenti come e più delle
parole e Laura aveva percepito i silenziosi messaggi che provenivano dalla sua
anima. Nel suo passato c’erano state poche esperienze negative, ma alcune di
queste difficili da superare. L’esserci riuscita aveva temprato il suo
carattere facendole perdere quel pizzico di frivolezza che possiedono quasi
tutte le persone coscienti di essere ammirate dal prossimo. La donna che in
quel momento guardava ammirata Francesco alzare le pesanti scatole sugli
scaffali era una persona determinata che non si sarebbe tirata indietro a
niente. Fece quindi lei il primo passo e durante la pausa pranzo scese dagli
uffici e si recò nel magazzino, dove Francesco mangiava un panino in compagnia di
Oliver, il cagnolino che era diventato il suo unico amico.
«Ciao
Francesco».
La
sua voce era una carezza e Francesco la guardò con le lacrime agli occhi,
maledicendo la sua disfunzione come non aveva mai fatto nella sua vita. Tentò
di rispondere al suo saluto, ma le parole gli morirono in gola facendo sì che
le labbra si muovessero senza emettere nessun suono. Abbassò la testa senza
pronunciare una parola, alzando un muro fra lui e la donna che sentiva di
amare.
«Perché
non mi rispondi?» chiese Laura, stupita da quel comportamento. Un’altra donna
meno bella e più vanitosa si sarebbe già offesa e se ne sarebbe andata, ma
Laura aveva una sensibilità fuori dal comune e aveva intuito dal suo sguardo
triste che Francesco soffrisse per qualcosa.
L’uomo
alzò la testa, carezzandola con lo sguardo. Quante parole avrebbe voluto dirle.
Parole d’amore e di passione; d’ammirazione e di speranza. Avrebbe composto non
uno ma cento canzonieri per la sua amata Laura, ma fu sconfitto dalla sua
battaglia interiore e scappò via lasciando di sasso la ragazza.
Gli
occhi gli bruciavano per le lacrime e si sentì come se fosse sul bordo di un
precipizio di cui non vedeva il fondo. In quel momento lasciarsi andare nel baratro
della disperazione gli sembrò la strada più facile da intraprendere. Tutto
sarebbe finito e non ne avrebbe sofferto più. L’amore che provava per Laura,
però, era un vincolo che l’avrebbe tenuto sulla Terra anche da morto e non
avrebbe avuto pace per tutta l’eternità.
Si
fermò di colpo, stanco di fuggire dalle proprie emozioni e decise che se pur
dovesse perdere la sua amata, che fosse successo dopo aver provato a spiegarle
perché si comportava in quel modo. Attese con impazienza oltre i cancelli della
ditta che lei finisse il turno di lavoro e attirò la sua attenzione alzando un
braccio in segno di saluto.
Laura
lo vide quasi subito. Rimase stupita di trovarlo lì dopo il suo strano
comportamento, indecisa se fermarsi o ignorarlo, ma fece l’errore di guardarlo
negli occhi, e vi lesse tanta disperazione. Si fermò e lo attese restando a
guardarlo in silenzio. Era l’ultima occasione che gli dava per spiegare il suo
assurdo atteggiamento.
Francesco
capì che era arrivato il momento cruciale. Non poteva più permettersi di
sbagliare e si fece coraggio cercando di parlarle senza usare la maledetta
“erre”.
«Sai
cosa sia la dislalia?».
«Difetto
di pronuncia?».
«Ne
sono affetto dalla nascita» annuì malinconicamente. «Ho difficoltà con alcuni
vocaboli».
«Per
questo te ne stai sempre in disparte e non parli mai con nessuno?».
«Sì!
Mi veggogno» disse senza ricordarsi
di usare parole che non avessero la “erre”.
Le
altre volte che gli era capitato di rivolgersi alle persone svelando il suo
handicap, era stato oggetto di pesanti commenti ironici. Temette che anche
Laura avesse fatto lo stesso, ma il sorriso di lei fu tenero e per niente
sarcastico.
«Non
crederai mica che io consideri le parole per come sono dette e non per il
motivo per cui si dicono? I sentimenti sono espressi dalle labbra ma nascono
dal cuore».
Era
troppo bello per essere vero. Laura era come lui l’aveva sempre sognata. Oltre
alla bellezza aveva altre doti che la rendevano stupenda. Dolcezza e
comprensione non erano facili da trovare in quei tempi, e lei le possedeva
entrambi. Avrebbe sofferto più di quello che poteva sopportare se lei si fosse
allontanata, ma doveva provarci. Non poteva restare in silenzio e perdere
quella che forse sarebbe stata la sua unica opportunità di parlarle dell’amore
che provava per lei.
«Vuoi
fammi capìe che se ti dicessi “amòe” tu non mi pendeèsti in gìo?» disse
senza preoccuparsi più di come pronunciasse quel discorso.
«Provaci!»
rispose lei con un sorriso radioso che la rese ancora più bella.
Lui
si alzò e si mise di fronte a lei, guardandola con intensità.
«Ti
amo da quando ti ho visto la pima volta.
Ogni volta che ci incontavamo volevo venitti vicino e ditti quanto sei bella, ma avevo paùa che tu mi tattassi
come mi tattano gli altri quando mi
sentono pallàe in modo così idicolo. Anch’io mi sento popio un chetino».
Rimase
lei stavolta in silenzio. Da vicino Francesco era ancora più bello di quello
che immaginava, e sul suo volto impacciato era impresso l’intenso desiderio che
provava per lei. Aveva dovuto fare un grande sforzo per riuscire a parlarle
senza preoccuparsi del suo problema di pronuncia e sembrava un bambino che
cercava quali parole usare prima di pronunciarle.
Laura
non nascose a se stessa che era stata tentata a ridere, ma si era sforzata di
evitarlo per paura che Francesco scappasse via in preda alla vergogna. Quanto
aveva sofferto a causa della sua disfunzione e quanto era dolce mentre tentava
di spiegarle il suo amore.
«Ti
amo da quando mi hai guardato la prima volta e ho capito dal tuo sguardo che
eri l’uomo che cercavo» disse convinta di quello che diceva, rendendosi conto
per l’ennesima volta che ogni sguardo e ogni silenzio dell’uomo erano stati
capaci di piantare nel suo cuore il seme di un profondo sentimento e quella
disfunzione non sarebbe mai stato un ostacolo fra loro.
«Anche
se pallo così?».
«Un
grande amore è sempre un grande amore, anche senza “erre”».
Le
parole non servivano più, Francesco si chinò verso di lei e le fece capire
quanto la amasse baciandola con delicata passione.