venerdì 23 aprile 2021

CHIUDI LA PORTA                                  

Siedi mio cuore!

Siediti sul gelido

trono del dolore

e distogli lo sguardo

dalla tetra lapide

sotto la quale

hai seppellito

il tuo amore.

 

Siedi mio cuore!

Non pensare con rancore

ai fasti passati

figli dei sogni realizzati

e dimentica

quell'antico splendore

che ti apporta solo dolore.

  

Siedi mio cuore!

Siedi e chiudi la porta.

Chiudi la porta

alle passioni

alle illusioni.

Chiudi la porta

a ciò che chiamiamo amore...

 

sabato 31 ottobre 2015

IL MISTERO DEL FIUME cap. 1

        
IL MISTERO
DEL FIUME

di Klem D’Avino







       
                            «Non nobis Domine,
                                   non nobis,
                       sed nomini Tuo da gloriam».



                                                                                             
A Massimo Maria Civale
 i miei ringraziamenti ,                                                                                       per avermi offerto l’idea           di questa narrazione.



                                                                                                         Alla mia cara amica   Michela Buonagura                                                                                                                                                                                                     
    per la collaborazione
                                                                                                                     L’autore
                                                                  





A mia moglie Margherita,
                                                                                                                    ragione della mia vita.

I
L’entusiasmo di Antonio era contagioso. Avrebbe coinvolto anche l’intera Nazione nel suo progetto ambientalista, se avesse avuto i mezzi per farlo.
Con la biologa Francesca Maione aveva fondato l’associazione Salviamo il Sarno, un motto e un monito contro tutti quelli che avevano cercato con ogni mezzo di ostacolarlo.
Alle minacce e pressioni, chiare o velate, che riceveva dalla malavita organizzata e da politici e imprenditori ad essa legati a doppio filo, ormai era abituato e procedeva dritto per la sua strada. Si sentiva più forte da quando aveva contattato associazioni ambientaliste di tutta Italia, riuscendo a coinvolgerle nella difesa dei 1630 chilometri d’acqua del fiume Sarno e dei suoi affluenti.
In altre regioni il fiume sarebbe stato un patrimonio naturalistico da proteggere e preservare per le generazioni future, da utilizzare per il trasporto e la pesca, invece in Campania la corruzione di tanti politici e l’incuria degli abitanti avevano reso il Sarno il fiume più inquinato e devastato d’Europa.
Antonio sapeva bene che nonostante gli interventi già realizzati e i soldi messi a disposizione dallo Stato e dalla Comunità Europea, non era possibile dragare il Sarno per evitare inondazioni e renderlo di nuovo navigabile poiché i fanghi tossici che si sarebbero prelevati erano difficili da smaltire sia per la quantità che per la pericolosità. Come era più che mai convinto che sarebbe stato tempo perso cercare di bonificare gli innumerevoli torrenti, resi fetidi dagli scarichi delle fabbriche e delle fogne e minacciati dal percolato derivato dalla decomposizione di rifiuti contaminati, nascosti sottoterra da mani scellerate. Bisognava invece proteggere le tre sorgenti ancora incontaminate, unire le forze e creare intorno ad esse un interesse che andasse al di là del valore ambientale.
A questo scopo organizzava delle escursioni per valorizzare le bellezze dei luoghi e diffonderne la storia.
Sin dai tempi degli Osci il fiume, cantato anche dal sommo Virgilio, era stato fonte di benessere, utilizzato come collegamento tra le varie province.
I Sarrastes ne avevano fatto la loro forza e tutte le loro divinità benefiche erano collegate al fiume ed alle sue sorgenti. Il Sarro, o Sarnus, chiamato nel medioevo Dracone, ancora prima conosciuto dai Pelasgi e dai loro discendenti Sarrastes con il nome di Sarro, nascondeva mille segreti. E mille erano i luoghi che potevano essere valorizzati con un piccolo sforzo economico e tanta buona volontà.
«Dobbiamo attirare l’attenzione sul Parco Naturale del bacino idrografico del fiume Sarno. Tutti gli Italiani dovranno considerare la nostra come la loro lotta!» andava predicando Antonio ai suoi amici e sostenitori.
La prima escursione che l’associazione Salviamo il Sarno aveva organizzato era stato un vero successo. Tanti ambientalisti provenienti da tutta la Penisola avevano potuto ammirare la sorgente ai piedi del monte S. Angelo e la bella chiesa fondata da S. Guglielmo di Vercelli, visitare i resti dell’antico anfiteatro e constatare di persona gli effetti taumaturgici dell’acqua che sgorga dalla sorgente, chiamata erroneamente Foce.
Fin dall’antichità le popolazioni che si erano succedute nel dominio di quei luoghi fertili e ricchi di fauna avevano venerato la sorgente, e i Romani vi avevano addirittura eretto un tempio alla Dea dell’Abbondanza.
A testimonianza di quel fulgido passato, presso il fiume erano stati rinvenuti oggetti votivi e statuette propiziatrici della fertilità della terra e delle donne.
La sacralità del luogo si era riconfermata con l’apparizione della Madonna, intorno all’anno 550 d.C, durante una battaglia fra gruppi di Goti e Cristiani autoctoni. Per ricordare la vittoria, gli abitanti del posto avevano eretto una cappella votiva, venerata da tutti i Cristiani dell’agro nocerino e nolano, dedicata alla Madonna della Foce, come fu definita la madre del Cristo.
Unire gli interessi per l’ecologia, l’archeologia, le tradizioni e le credenze esoteriche di quelle zone in cui i flussi energetici terrestri erano palesi, era stata un’idea di Antonio e Francesca.
«Per ottenere visibilità e restare vivi, più che attaccare i poteri forti accusandoli dell’inquinamento del fiume e di sperperare i fondi europei per bonificare il Sarno e i suoi bacini, dobbiamo puntare sull’interesse ambientale e sui siti archeologici intorno alle aree attraversate dal fiume. Attirando gli studiosi, oltre agli ambientalisti, possiamo schierare un vero esercito e contrastare tutti gli scettici che ci considerano solo degli sbandati» arringava con veemenza Antonio agli associati e al pubblico che interveniva alle manifestazioni.
«Oltre agli scavi di Pompei, anche i ritrovamenti archeologici di Longola a Poggiomarino, l’acquedotto Augusteo di Palma Campania e le rovine romane presso la sorgente di Rio della Foce vanno valorizzati. Si potrebbe proporre un grande progetto per catalizzare l’interesse sulle sorti di quello che attualmente è il fiume più inquinato d’Europa» gli faceva eco Francesca, angosciata dai risultati delle analisi dei campioni che prelevava quotidianamente dalle acque e dalle rive del Sarno e dei suoi affluenti.
La gravità del triste primato evidenziato da Francesca stava nel fatto che il fiume Sarno bagnava territori a indirizzo prevalentemente agricolo, e gli ortaggi e le verdure coltivate intorno ai suoi alvei erano venduti non solo in Campania ma anche in altre Regioni.
Nel corso degli anni, oltre ai furti notturni dell’acqua con l’utilizzo di autoclavi, erano stati realizzati numerosi pozzi artesiani illegali. L’acqua prelevata veniva utilizzata per scopi industriali, civili e agricoli, sottovalutando il pericolo costituito dalla presenza di metalli pesanti e agenti chimici scaricati nei canali da industrie metallurgiche e siderurgiche, dallo sversamento delle fogne, dalle muffe create dagli scarti di lavorazione di concerie, segherie e industrie alimentari.
Tutti quei veleni venivano assorbiti dai prodotti agricoli, causando gravissime malattie. Il numero dei morti per cancro era in pauroso aumento, uno sterminio di vite umane che poteva essere evitato solo grazie a una efficace salvaguardia di quello che un tempo era considerato il Dio Fiume.



domenica 19 ottobre 2014

Amore senza “erre”


                                           

  Amore senza “erre”

Il parco era l’unico luogo dove si poteva fare jogging senza il rischio di essere investiti dalle auto. Per tutto il giorno si potevano incontrare solitari jogger oppure gruppi di corridori che scaricavano lo stress e bruciavano le calorie con una sana corsa.

Le due ragazze erano state fino a qualche anno prima amiche inseparabili, ma dopo che Laura era stata assunta in una grossa azienda della vicina città, riuscivano a vedersi solo di sera e approfittavano di quelle poche ore per chiacchierare e dedicarsi al loro sport preferito. Di solito andavano a correre in palestra utilizzando il tapis roulant; da qualche settimana, però, Laura aveva convinto Sabrina a recarsi al parco come facevano tanti loro amici.

«Prima o poi ci accadrà qualcosa di brutto, se insisterai a portarmi fra questi viali fin dopo il tramonto» protestò Sabrina, alla quale non sfuggivano gli sguardi lascivi che gli uomini lanciavano alla sua bella amica.

«Ti ho già spiegato perché desidero venire a correre qui. È l’unico modo per incontrare l’uomo che lavora nel magazzino della mia ditta. È anche lui di Borgo e ho saputo dal suo collega che viene tutte le sere a fare sport in questo parco».

«Non è più facile che lo incontri in ditta oppure quando vi recate a lavoro? Abitate a pochi rioni di distanza e fate tutti i giorni la stessa strada».

Laura rimase in silenzio, era difficile spiegare i sentimenti che provava. Da quando era una ragazzina, tutti gli uomini avevano ammirato la sua bellezza, ma Francesco, sin dai tempi in cui lo incontrava di mattina mentre si recava a scuola e passava davanti alla fabbrica di conserve alimentari dove lui lavorava, restava sempre sulle sue e non le rivolgeva mai la parola. Solo di tanto in tanto, quando si scontravano quasi, lui la guardava per qualche istante annuendo un “Salve!” con la voce malinconica, turbandola più che se le avesse fatto un complimento.

Gli anni erano passati e lei si era preoccupata di cercarsi un buon impiego  piuttosto che prendere in considerazione le tante proposte sentimentali che riceveva. Il lavoro come impiegata non la stimolava molto, ma le permetteva di essere indipendente e di progettare anche di lasciare la casa dei genitori per sistemarsi definitivamente in città. L’incontro con Francesco, però, l’aveva confusa. Se una volta era bello adesso si poteva definire addirittura stupendo. Il desiderio di conoscerlo, anziché affievolirsi con il tempo, era diventato sempre più pressante ed escogitare occasioni per vederlo era diventato un pensiero fisso.  

Alzò lo sguardo sul viale e ammiccò all’amica.

«Guarda, è lui!».

«Avevi ragione, è proprio affascinante!» confermò Sabrina. «Strano che non lo vedo mai in giro per il paese. Eppure esco tutte le sere e frequento i migliori locali del posto».

«Anche in ditta sta sempre in disparte e più della compagnia delle persone preferisce passare il tempo libero prendendosi cura di un cagnolino randagio che i magazzinieri hanno adottato. Non ti nego che mi piace più di quanto avrei mai creduto».

Francesco passò con la sua rapida falcata vicino alle due ragazze che continuavano a osservarlo, riconoscendo Laura.

«Salve!» disse con la voce leggermente affannata, alzando una mano in segno di saluto, per poi svanire nei viali con la stessa velocità con cui era comparso.

«Sarà pure bello come un Adone, ma poteva anche rallentare, vedendo che noi stavamo guardando verso di lui» disse Sabrina.

«Penso sia timido».

«Con un fisico del genere? Presuntuoso piuttosto!» replicò Sabrina un po’ piccata.

«Non credo. Il suo sguardo è sempre molto triste e sembra che eviti la gente. Appena lo incrocio al lavoro, se continua a restare muto, gli rivolgerò io la parola».

«Sei sicura? Vuoi prendere tu l’iniziativa con tutti gli uomini che ti cascano ai piedi?».

«A me interessa solo lui. Mi piace, e vorrei che mi parlasse con la stessa dolcezza con cui mi guarda. Non credo sia un presuntuoso, forse è solo timido. Quando mi avvicino, apre la bocca per parlarmi ma poi resta in silenzio e abbassa gli occhi, allontanandosi senza aver pronunciato una parola».

Francesco aveva aumentato il ritmo della corsa e nonostante sentisse il petto che gli scoppiava per lo sforzo, non intendeva fermarsi. Era come se volesse farsi del male per punirsi della sua insicurezza. Ogni volta che incontrava Laura il suo cuore sobbalzava, ma le labbra restavano serrate, nel timore che se avesse parlato lei lo avrebbe deriso come avevano fatto in passato tante altre persone.

Nonostante si fosse rivolto ai migliori logopedisti, nessuno di loro era riuscito a curarlo dell’accentuata dislalia funzionale che gli impediva di pronunciare la lettera “erre”. Sin da ragazzo i suoi coetanei lo prendevano in giro per il suo difetto di pronuncia, e con il tempo si era chiuso in se stesso, abbandonando persino la scuola pur di nascondere a tutti il suo handicap. Come operaio, invece, poteva essere pure muto per quel che importava ai datori di lavoro.

Si dedicava anima e corpo allo sport per sfogare la frustrazione e non farsi deprimere dalla consapevolezza di vivere in una società pronta a deridere chi fosse diverso dalla massa. Con le attività fisiche aveva acquisito un fisico statuario e l’interesse delle donne verso di lui era cresciuto, accrescendo paradossalmente i suoi disagi. Prima bastava evitare di incontrare le ragazze per non far scoprire la sua patologia, ora erano le donne che lo fermavano e gli rivolgevano la parola. E ogni volta che lui parlava, le stesse che fino a poco prima erano state attratte dal suo fisico armonico, sorridevano e facevano commenti ironici con le loro amiche.

Purtroppo la sensibilità non era di questo mondo e lui si era convinto che era meglio se fosse rimasto solo con i suoi silenzi, ma aveva incontrato Laura e tutto era ridiventato difficile da sopportare. Avrebbe voluto dichiararle l’amore che provava per lei dal primo momento che l’aveva vista, ma persino nei pensieri, nell’immaginare tutte le parole che avrebbe voluto dirle, non riusciva a formulare quella maledetta “erre”.

«Come posso dirle ti abbaccio fotte fotte senza che lei si metta a ridere e mi prenda in giro?» pensava malinconicamente. «Sono ridicolo con questo mio difetto di pronuncia ed è meglio che la dimentichi se non voglio soffrire ancora di più. Meglio essere considerato un orso scontroso che essere deriso dalla donna di cui sono innamorato».

Le parole che avrebbe voluto dirle, però, non intendevano restare sepolte nelle profondità della sua anima e ogni volta che pensava a Laura decine di frasi d’amore arrivavano di corsa fino alle sue labbra per morire annegate nel mare dei suoi silenzi. E sempre di più il cuore di Francesco ne era lacerato; sempre di più amava la sua Laura.

I giorni seguenti gli capitò di incontrarla più volte del solito. Fece fatica a trattenersi nell’ammirarla da lontano. Amava tutto di lei, dal suo sorriso al suono della sua voce, e non poterle parlare lo affliggeva.

Dal suo canto, ogni volta che Laura notava di essere osservata da lui, si fermava e aspettava che si avvicinasse, ma Francesco impallidiva, chinava il capo e si allontanava triste.

L’uomo non si era reso conto che i suoi sguardi erano stati eloquenti come e più delle parole e Laura aveva percepito i silenziosi messaggi che provenivano dalla sua anima. Nel suo passato c’erano state poche esperienze negative, ma alcune di queste difficili da superare. L’esserci riuscita aveva temprato il suo carattere facendole perdere quel pizzico di frivolezza che possiedono quasi tutte le persone coscienti di essere ammirate dal prossimo. La donna che in quel momento guardava ammirata Francesco alzare le pesanti scatole sugli scaffali era una persona determinata che non si sarebbe tirata indietro a niente. Fece quindi lei il primo passo e durante la pausa pranzo scese dagli uffici e si recò nel magazzino, dove Francesco mangiava un panino in compagnia di Oliver, il cagnolino che era diventato il suo unico amico.

«Ciao Francesco».

La sua voce era una carezza e Francesco la guardò con le lacrime agli occhi, maledicendo la sua disfunzione come non aveva mai fatto nella sua vita. Tentò di rispondere al suo saluto, ma le parole gli morirono in gola facendo sì che le labbra si muovessero senza emettere nessun suono. Abbassò la testa senza pronunciare una parola, alzando un muro fra lui e la donna che sentiva di amare.

«Perché non mi rispondi?» chiese Laura, stupita da quel comportamento. Un’altra donna meno bella e più vanitosa si sarebbe già offesa e se ne sarebbe andata, ma Laura aveva una sensibilità fuori dal comune e aveva intuito dal suo sguardo triste che Francesco soffrisse per qualcosa.

L’uomo alzò la testa, carezzandola con lo sguardo. Quante parole avrebbe voluto dirle. Parole d’amore e di passione; d’ammirazione e di speranza. Avrebbe composto non uno ma cento canzonieri per la sua amata Laura, ma fu sconfitto dalla sua battaglia interiore e scappò via lasciando di sasso la ragazza.

Gli occhi gli bruciavano per le lacrime e si sentì come se fosse sul bordo di un precipizio di cui non vedeva il fondo. In quel momento lasciarsi andare nel baratro della disperazione gli sembrò la strada più facile da intraprendere. Tutto sarebbe finito e non ne avrebbe sofferto più. L’amore che provava per Laura, però, era un vincolo che l’avrebbe tenuto sulla Terra anche da morto e non avrebbe avuto pace per tutta l’eternità.

Si fermò di colpo, stanco di fuggire dalle proprie emozioni e decise che se pur dovesse perdere la sua amata, che fosse successo dopo aver provato a spiegarle perché si comportava in quel modo. Attese con impazienza oltre i cancelli della ditta che lei finisse il turno di lavoro e attirò la sua attenzione alzando un braccio in segno di saluto.

Laura lo vide quasi subito. Rimase stupita di trovarlo lì dopo il suo strano comportamento, indecisa se fermarsi o ignorarlo, ma fece l’errore di guardarlo negli occhi, e vi lesse tanta disperazione. Si fermò e lo attese restando a guardarlo in silenzio. Era l’ultima occasione che gli dava per spiegare il suo assurdo atteggiamento.

Francesco capì che era arrivato il momento cruciale. Non poteva più permettersi di sbagliare e si fece coraggio cercando di parlarle senza usare la maledetta “erre”.

«Sai cosa sia la dislalia?».

«Difetto di pronuncia?».

«Ne sono affetto dalla nascita» annuì malinconicamente. «Ho difficoltà con alcuni vocaboli».

«Per questo te ne stai sempre in disparte e non parli mai con nessuno?».

«Sì! Mi veggogno» disse senza ricordarsi di usare parole che non avessero la “erre”.

Le altre volte che gli era capitato di rivolgersi alle persone svelando il suo handicap, era stato oggetto di pesanti commenti ironici. Temette che anche Laura avesse fatto lo stesso, ma il sorriso di lei fu tenero e per niente sarcastico.

«Non crederai mica che io consideri le parole per come sono dette e non per il motivo per cui si dicono? I sentimenti sono espressi dalle labbra ma nascono dal cuore».

Era troppo bello per essere vero. Laura era come lui l’aveva sempre sognata. Oltre alla bellezza aveva altre doti che la rendevano stupenda. Dolcezza e comprensione non erano facili da trovare in quei tempi, e lei le possedeva entrambi. Avrebbe sofferto più di quello che poteva sopportare se lei si fosse allontanata, ma doveva provarci. Non poteva restare in silenzio e perdere quella che forse sarebbe stata la sua unica opportunità di parlarle dell’amore che provava per lei.

«Vuoi fammi capìe che se ti dicessi “amòe” tu non mi pendeèsti in gìo?» disse senza preoccuparsi più di come pronunciasse quel discorso.

«Provaci!» rispose lei con un sorriso radioso che la rese ancora più bella.

Lui si alzò e si mise di fronte a lei, guardandola con intensità.

«Ti amo da quando ti ho visto la pima volta. Ogni volta che ci incontavamo volevo venitti vicino e ditti quanto sei bella, ma avevo paùa che tu mi tattassi come mi tattano gli altri quando mi sentono pallàe in modo così idicolo. Anch’io mi sento popio un chetino».

Rimase lei stavolta in silenzio. Da vicino Francesco era ancora più bello di quello che immaginava, e sul suo volto impacciato era impresso l’intenso desiderio che provava per lei. Aveva dovuto fare un grande sforzo per riuscire a parlarle senza preoccuparsi del suo problema di pronuncia e sembrava un bambino che cercava quali parole usare prima di pronunciarle.

Laura non nascose a se stessa che era stata tentata a ridere, ma si era sforzata di evitarlo per paura che Francesco scappasse via in preda alla vergogna. Quanto aveva sofferto a causa della sua disfunzione e quanto era dolce mentre tentava di spiegarle il suo amore.

«Ti amo da quando mi hai guardato la prima volta e ho capito dal tuo sguardo che eri l’uomo che cercavo» disse convinta di quello che diceva, rendendosi conto per l’ennesima volta che ogni sguardo e ogni silenzio dell’uomo erano stati capaci di piantare nel suo cuore il seme di un profondo sentimento e quella disfunzione non sarebbe mai stato un ostacolo fra loro.

«Anche se pallo così?».

«Un grande amore è sempre un grande amore, anche senza “erre”».

Le parole non servivano più, Francesco si chinò verso di lei e le fece capire quanto la amasse baciandola con delicata passione.

lunedì 18 febbraio 2013

IL MIO NOME


Sobbalza al vento

la mia anima sgomenta,

e acre è l’impeto

del mio tormento.

La tua pelle ha il sapore

del mare in tempesta

e allontana da me

l’angoscia del tempo.

 

Il tuo cuore è stupendo:

 dolce e intenso!

La tua magia

è la vita.

Il tuo dono

è la vita!

 

Le tue carezze

disegnano su di me

l’arcano mistero

della tua passione,

e  miele gusto dalle tue labbra.

 

Ti voglio con il corpo,

ti ho con l’anima.

Mi incatena il calore

del tuo amore

perché

desiderio è il mio nome!