IL MISTERO
DEL
FIUME
di
Klem D’Avino
«Non nobis Domine,
non nobis,
sed nomini Tuo da
gloriam».
A
Massimo Maria Civale
i miei ringraziamenti , per avermi offerto l’idea di questa narrazione.
Alla mia cara amica Michela Buonagura
per
la collaborazione
L’autore
A mia moglie Margherita,
ragione della mia vita.
I
L’entusiasmo
di Antonio era contagioso. Avrebbe coinvolto anche l’intera Nazione nel suo
progetto ambientalista, se avesse avuto i mezzi per farlo.
Con
la biologa Francesca Maione aveva fondato l’associazione Salviamo il Sarno, un motto e un monito contro tutti quelli che
avevano cercato con ogni mezzo di ostacolarlo.
Alle
minacce e pressioni, chiare o velate, che riceveva dalla malavita organizzata e
da politici e imprenditori ad essa legati a doppio filo, ormai era abituato e
procedeva dritto per la sua strada. Si sentiva più forte da quando aveva
contattato associazioni ambientaliste di tutta Italia, riuscendo a coinvolgerle
nella difesa dei 1630 chilometri d’acqua del fiume Sarno e dei suoi affluenti.
In
altre regioni il fiume sarebbe stato un patrimonio naturalistico da proteggere
e preservare per le generazioni future, da utilizzare per il trasporto e la
pesca, invece in Campania la corruzione di tanti politici e l’incuria degli
abitanti avevano reso il Sarno il fiume più inquinato e devastato d’Europa.
Antonio
sapeva bene che nonostante gli interventi già realizzati e i soldi messi a
disposizione dallo Stato e dalla Comunità Europea, non era possibile dragare il
Sarno per evitare inondazioni e renderlo di nuovo navigabile poiché i fanghi
tossici che si sarebbero prelevati erano difficili da smaltire sia per la
quantità che per la pericolosità. Come era più che mai convinto che sarebbe
stato tempo perso cercare di bonificare gli innumerevoli torrenti, resi fetidi
dagli scarichi delle fabbriche e delle fogne e minacciati dal percolato
derivato dalla decomposizione di rifiuti contaminati, nascosti sottoterra da
mani scellerate. Bisognava invece proteggere le tre sorgenti ancora
incontaminate, unire le forze e creare intorno ad esse un interesse che andasse
al di là del valore ambientale.
A
questo scopo organizzava delle escursioni per valorizzare le bellezze dei
luoghi e diffonderne la storia.
Sin
dai tempi degli Osci il fiume, cantato anche dal sommo Virgilio, era stato
fonte di benessere, utilizzato come collegamento tra le varie province.
I
Sarrastes ne avevano fatto la loro
forza e tutte le loro divinità benefiche erano collegate al fiume ed alle sue
sorgenti. Il Sarro, o Sarnus, chiamato
nel medioevo Dracone, ancora prima conosciuto dai Pelasgi e dai loro
discendenti Sarrastes con il nome di Sarro, nascondeva mille segreti. E mille
erano i luoghi che potevano essere valorizzati con un piccolo sforzo economico
e tanta buona volontà.
«Dobbiamo
attirare l’attenzione sul Parco Naturale del bacino idrografico del fiume
Sarno. Tutti gli Italiani dovranno considerare la nostra come la loro lotta!»
andava predicando Antonio ai suoi amici e sostenitori.
La
prima escursione che l’associazione Salviamo
il Sarno aveva organizzato era stato un vero successo. Tanti ambientalisti
provenienti da tutta la Penisola avevano potuto ammirare la sorgente ai piedi
del monte S. Angelo e la bella chiesa fondata da S. Guglielmo di Vercelli, visitare
i resti dell’antico anfiteatro e constatare di persona gli effetti taumaturgici
dell’acqua che sgorga dalla sorgente, chiamata erroneamente Foce.
Fin
dall’antichità le popolazioni che si erano succedute nel dominio di quei luoghi
fertili e ricchi di fauna avevano venerato la sorgente, e i Romani vi avevano addirittura
eretto un tempio alla Dea dell’Abbondanza.
A
testimonianza di quel fulgido passato, presso il fiume erano stati rinvenuti
oggetti votivi e statuette propiziatrici della fertilità della terra e delle
donne.
La
sacralità del luogo si era riconfermata con l’apparizione della Madonna,
intorno all’anno 550 d.C, durante una battaglia fra gruppi di Goti e Cristiani
autoctoni. Per ricordare la vittoria, gli abitanti del posto avevano eretto una
cappella votiva, venerata da tutti i Cristiani dell’agro nocerino e nolano,
dedicata alla Madonna della Foce, come fu definita la madre del Cristo.
Unire
gli interessi per l’ecologia, l’archeologia, le tradizioni e le credenze
esoteriche di quelle zone in cui i flussi energetici terrestri erano palesi,
era stata un’idea di Antonio e Francesca.
«Per
ottenere visibilità e restare vivi, più che attaccare i poteri forti
accusandoli dell’inquinamento del fiume e di sperperare i fondi europei per
bonificare il Sarno e i suoi bacini, dobbiamo puntare sull’interesse ambientale
e sui siti archeologici intorno alle aree attraversate dal fiume. Attirando gli
studiosi, oltre agli ambientalisti, possiamo schierare un vero esercito e
contrastare tutti gli scettici che ci considerano solo degli sbandati» arringava
con veemenza Antonio agli associati e al pubblico che interveniva alle
manifestazioni.
«Oltre
agli scavi di Pompei, anche i ritrovamenti archeologici di Longola a
Poggiomarino, l’acquedotto Augusteo di Palma Campania e le rovine romane presso
la sorgente di Rio della Foce vanno valorizzati. Si potrebbe proporre un grande
progetto per catalizzare l’interesse sulle sorti di quello che attualmente è il
fiume più inquinato d’Europa» gli faceva eco Francesca, angosciata dai
risultati delle analisi dei campioni che prelevava quotidianamente dalle acque
e dalle rive del Sarno e dei suoi affluenti.
La
gravità del triste primato evidenziato da Francesca stava nel fatto che il fiume
Sarno bagnava territori a indirizzo prevalentemente agricolo, e gli ortaggi e
le verdure coltivate intorno ai suoi alvei erano venduti non solo in Campania
ma anche in altre Regioni.
Nel
corso degli anni, oltre ai furti notturni dell’acqua con l’utilizzo di
autoclavi, erano stati realizzati numerosi pozzi artesiani illegali. L’acqua
prelevata veniva utilizzata per scopi industriali, civili e agricoli, sottovalutando
il pericolo costituito dalla presenza di metalli pesanti e agenti chimici
scaricati nei canali da industrie metallurgiche e siderurgiche, dallo
sversamento delle fogne, dalle muffe create dagli scarti di lavorazione di
concerie, segherie e industrie alimentari.
Tutti
quei veleni venivano assorbiti dai prodotti agricoli, causando gravissime
malattie. Il numero dei morti per cancro era in pauroso aumento, uno sterminio
di vite umane che poteva essere evitato solo grazie a una efficace salvaguardia
di quello che un tempo era considerato il Dio
Fiume.