giovedì 24 dicembre 2009

il mio augurio


non vi dico auguri per quello che potete regalare o ricevere, per quello che potete mangiare o bere, vi dico auguri per quello che desiderate e sperate, per il bene che sentite di fare e magari vi intristite perché non ne avete i mezzi. quindi il mio augurio è quello di essere sinceri con voi stessi al punto tale da ammettere che in questo mondo ci vorrebbe più amore per chi soffre e non servilismo per chi comanda. klem davino

venerdì 6 novembre 2009

NOSTALGIA







NOSTALGIA

Notte oscura,
stelle cadute,
si desta la paura
per le ore perdute
aspettando un domani
che fugge dalle mani.

Passano i giorni,
passano le notti,
che peso mi porta!
Oggi come ieri
- e forse domani -
non trovo pace
pensando al passato.
Pensando al fuoco
che ardeva
una fiamma mai doma.

Follie erano le notti;
magie le albe.
Sapore di fiaba
gustavo avido
dalle tue labbra.

Ora nuove visioni
riempiono i miei sogni.
Nuovi amori
riscaldano il mio cuore.
Nuovi corpi
saziano la mia anima.

Di quello che eri
resta un’ombra
satura di malinconia
che a volte
si trasforma in sogno,
spesso in incubo,
ma se volessi che tu mi risponda,
dovrei chiamarti nostalgia.

mercoledì 4 novembre 2009

Clessidra


Clessidra
Scorre il fiume del mio tormento
e porta con sé l’angoscia del tempo.
Sono stato prigioniero
- per scelta o per noia –
di un amore sbagliato.
Ma la culla del destino
è la forza della passione
e con essa sono vivo!
Non più ferite aperte
lacerano il cuore e la mente,
ma solo carezze brama la mia pelle.
Ho sete del tuo sapore;
ho fame del tuo volere.
Tutto ciò che mi circonda
mi ricorda di te.
Mi porta a te!
Ed io ascolto le sirene del mare
intonare il nostro canto
mentre i giorni volano via
e presto sarai di nuovo mia.

venerdì 30 ottobre 2009

RANDAGIO (tratto dalla raccolta "lamia strada aveva l'orizzonte come limite" edita da akkuaria


RANDAGIO


Sono giorni che sei fermo
sul bordo di quella strada di periferia.
Inutilmente stai aspettando: non torneranno!
Il cucciolo – che sembrava un peluche –
è cresciuto ed il gioco è finito
con quel giocattolo, diventato
fastidioso e ingombrante.

Ed ora non fai altro che guardare
le auto sfrecciare, sperando
che ritorneranno a prenderti.

Vai incontro alle auto in corsa
– abbaiando felice – credendo
che siano i tuoi padroni e per fortuna
ti sei fermato in tempo
non trasformando chi incauto
e cinico ti ha abbandonato
in un assassino.

Lo stupore di esser tradito
da chi tanto amavi
è sparito dai tuoi umidi occhi.
Ciò che adesso si legge è la paura.
Nient’altro che la paura.

Non riesci a pensare che a loro
mentre smarrito vaghi senza mèta.
Gli stessi che – con uno spietato inganno –
ti hanno lasciato scendere dall’auto
mentre tu gioioso ti divertivi a saltellare
non t’hanno aspettato come hann sempre fatto.

La tua folle e disperata corsa
per cercare di raggiungerli è stata vana
e inutilmente hai guaito
sperando di smuovere
i loro duri e gelidi cuori.
Non è servito a nulla:
ti hanno abbandonato!

E tu non conosci che loro
– non ami che loro – e guardi
inorridito la gente per strada
che, chi spaventato, chi arrabbiato,
urlano e inveiscono
contro di te terrorizzandoti.

Non capiscono
che sei poco più di un cucciolo
con tanta voglia di giocare?
E se pur ringhi contro di loro
è per nascondere la tua paura;
la tua enorme paura
di sentirsi un randagio.

Eri l’orgoglio dei tuoi padroni
che si vantavano della tua razza pura
e ti nutrivano con cibi prelibati
lasciandoti adesso
a rovistare nella spazzatura
e a compiangerti addosso
per la vita perduta.

Sei di razza pura
ma hai avuto la sfortuna
di trovar padroni bastardi
ed ora la tua mole
così apprezzata una volta
ti ha condotto
in questa umida gabbia
che ti lascerà andare
solo per la fatale siringa.
E forse tu non chiedi di meglio.
Non vuoi più vivere
tra questi ibridi a due gambe
che ripagano il tuo amore
rendendoti randagio.

mercoledì 28 ottobre 2009

SUSSURRI tratta dalla raccolta edita da Akkuaria "la mia strda aveva l'orizzonte come limite


SUSSURRI


Che silenzio… che pace
in questa notte inquieta.
Mi giro come un ossesso
tra le lenzuola stufe
della mia agitata insonnia,
che vorrebbero sparire
e abbandonarmi
ai tormentati incubi.

Mi affaccio alla finestra
seccato e disperato
e fisso la scura notte
facendomi avvolgere
dal suo ovattato silenzio.

Quanti sussurri in questo silenzio.
Sussurri di gente che discreta
non vuol disturbare.
Soffrono tacitamente
e sussurrano alla comprensiva notte
il proprio dolore.

– L’intimo dolore… –
Quello che non si vede,
quello che non si dice
se non al silenzio della notte.
Della complice notte.

Poco lontano la ragazzina
appoggiata al lampione
fissa una stella.
– Chissà… forse sogna. –
Sogna che qualcosa accada.
Qualsiasi cosa purché possa
cambiare la sua triste esistenza.
Con le lacrime a inumidire
gli infantili occhi, offuscati
da una spessa coltre di tristezza
troppo presto imbrattati
dal peso del trucco intenso
sommessa, sussurra a quella stella…
– La sua stella! –
La stessa che fino ad ora
non l’ha mai ascoltata eppure
lei fiduciosa insiste raccontandole
con una vocina fioca... le sue paure.
– La sua vergogna. –

Chissà se il prossimo cliente leggerà
nei suoi occhi il disperato appello.
Chissà se n'avrà pietà
oppure pretenderà la sua compiacenza.

Intanto i suoi angosciosi sussurri
si sono uniti ai tanti altri
e insieme viaggiano
sulle ali delle tenebre,
entrandomi fin dentro l’anima
e rendendo questa intima notte
in una tetra notte.

martedì 27 ottobre 2009

NOTTE FREDDA (tratta dalla raccolta la mia strada aveva l'orizzonte come limite)


NOTTE FREDDA


Un lampione rischiara
questo vicolo sperduto,
e come ogni sera
si legge il copione
scritto per chi
alle bugie ha creduto.

Sei nata solo ieri
– e invece di giocare –
fai la donna per mestiere.

Notte fredda – notte oscura –
sei sola tu e la paura.
Ti fai coraggio
stringendo le braccia
ma nessuno vuol capire
perché stai lì come chi
non si può salvare.
Non si vuol salvare.

Nascondi gli occhi umidi
per questa vita che ti ha deluso
e bagni la strada
con lacrime di paura
mentre con una vocina
preghi e dici:
“Salvami madre mia”.

lunedì 26 ottobre 2009

AMORE VIRTUALE (tratta dalla raccolta edita da Akkuaria: la mia strada aveva l'orizzonte com limite)


AMORE VIRTUALE


Lo stupido litigio
attraverso il freddo monitor
ci ha lasciati esausti e disperati.

Aspre parole
amplificate dalla lontananza
dove il profumo della pelle
è solo una sensazione
e la furia non viene mitigata
dal calore dei nostri occhi.

Per un futile equivoco
si è spezzato quel magico
filo che ci teneva uniti
e niente potrà ricongiungerlo
in questa virtualità
dove solo le illusioni
non bastano a mantenere
vivo un sentimento nato
dalle nostre emozioni.

sabato 24 ottobre 2009

MARZO


MARZO

Marzo non ti smentisci mai: variabile, suscettibile, pazzo per antonomasia. Nei tuoi folli giorni ho trovato l’amore, la passione, la gioia di vivere; nelle tue mistiche notti ho conosciuto la disperazione, l’angoscia, la morte…
Marzo, le tue idi sono create per soffrire. Il rinnovato tepore dà l’illusione di una rinascita - ma trami nuovi sgomenti – e, dalla più intensa sensazione di piacere, porti chi crede in te alla soglia del baratro, alla soglia della follia. Senza vie di mezzo, amante delle passioni forti, mi innalzi per poi distruggermi; mi porti l’amore ma imprevedibile mi inondi di dolore.
A te, marzo, ergo l’altare della vita; a te, porgo la palma della sofferenza.
A te: figlio di Venere con Saturno in agguato, che hai cono-sciuto la mia gioia per poi assaporare il mio sangue, a te marzo, oggi burrascoso e gelido come ieri caldo e gioioso, regalo la mia ultima ora di angoscia, come è giusto che sia.
Mi hai reso grande solo per aumentare la polvere nella mia caduta; con dispetto mi hai tolto quello che mi hai donato, e io, con odio e rancore, ti restituisco parte della mia afflizione, aspet-tando te per morire…

venerdì 23 ottobre 2009

AZZURRO FIORE - contro la pedofilia in tutte le sue forme -


AZZURRO FIORE

Piangi piccolo, piangi.
sfogati senza vergognarti:
altri debbono farlo.
Quegl’altri che,
approfittando dell’indifferenza,
hanno abusato di te.

Piangi.
piangi azzurro fiore,
pregiato fiore.
Più tu piangi,
più io piango,
pensando a ciò
che t’hanno fatto.
E più ci penso,
più il mio odio cresce.

Vedrai,
un giorno riuscirò
a vendicarti.
Anche se servirà
solo per gli altri fiori
che colorano questo prato.
Non per te…
Per te è troppo tardi
e la tua anima
è stata devastata per sempre.

Sei stato troppo ingenuo,
troppo puro per capire
che dietro quel sorriso
si nascondeva l’orrore
più oscuro
che ti ha distrutto
i giovani petali
solo ieri sbocciati.
Ed ora,
anche se il sole
brilla alto in cielo,
spandendo i suoi raggi
su questo mondo ignobile
che non merita
un’anima pura,
in te è scesa la notte,
la gelida notte.

giovedì 22 ottobre 2009

STELLA


STELLA

Guardi una stella
brillare lontano;
sola, nel buio
dove tutto scompare.

Strano stasera:
sembra tremare!
E, se chiudi gli occhi,
la sentirai pregare.

Il suo alone
ti illumina il volto,
quasi volesse,
con una carezza,
chiudere le porte
all’amarezza.

Cuore infranto
nella notte oscura,
dove piangono
le anime pure;
solo una stella
sembra capire
il tuo desiderio
di porre fine
all’angoscia
che provi.
Sei una stella!
Quanto sei bella!
E, se non hai una sorella
per confidarle
il tuo tormento,
alza gli occhi al cielo
e guarda come splende
la solitaria stella.
Mai come stanotte
è stata così bella.

martedì 20 ottobre 2009

SCUSA (tratta dalla raccolta "la mia strada aveva l'orizzonte com limite"


SCUSA


Perché non rispondi?
Ti costa tanto ascoltare
chi ti dice che in amore
si può sbagliare?
Lo so che è colpa mia!
Non sono perfetto,
ma neanche una bestia
che non merita perdono.
Non merita di dirti: scusa…

Scusa amor mio, stai pagando
per aver creduto in un sogno non tuo.
Hai chiuso gli occhi
prendendo la mano
di un uomo che ti ha deluso.

E adesso che vorrei dire
che senza di te preferisco morire,
mi chiudi la porta in faccia
e non permetti alle mie braccia
di creare uno scudo d’amore
con cui sconfiggere anche il dolore.

Ti prego rispondi!
Non lasciarmi con il tormento
che mi provoca il tuo telefonino spento.

Soffro già troppo per aver pensato
di cambiare il destino senza riflettere
che fossi tu a soffrire
per quest’assurda fantasia.
E il tuo silenzio aumenta
le fiamme del rimorso e mi nega
il lieve sollievo che mi darebbe
nel chiederti scusa…

AMORE DISPERATO(tratto dalla raccolta "la mia strada aveva l'orizzonte come limite"


AMORE DISPERATO


Il vento di ponente
ti scompiglia i capelli
e vorrebbe destarti
dal muto torpore.
– Ma tu –
perduta nel tuo dolore
guardi assente
il lontano orizzonte
e rifiuti che il tempo
conforti la tua mente.

Una tremula lacrima
straripa dall’immenso mare
e specchia la tua anima
devastata da passioni amare.

Scivola lenta
sul tuo pallido viso
lasciandosi dietro
una scia di dolore
e si posa sulle labbra
come un tenero bacio
dall’acre sapore.

Assapori esausta
l’umida sembianza
di sensuale tepore
con la gola stretta
e una fitta al cuore
per colpa dell’angoscia
che provi al ricordo
del tuo grande amore
così dolce…
Così disperato.

lunedì 19 ottobre 2009

NON DIR NIENTE - tratta dalla raccolta "la mia strada aveva l'orizzonte come limite" edito da akkuaria editrice


NON DIR NIENTE


Guardi stupita
l’anonimo passante
che – stanco –
si trascina per strada
con lo sguardo smarrito
nell’immenso vuoto,
e ti è difficile credere
che sia io quell’uomo.

L’uomo
che si credeva grande
che si credeva forte
con te al suo fianco.

Invece non era altro
che l’ingannevole apparenza
che circuisce le menti di chi stolto
non vede oltre la potenza dei suoi sensi.

Il ridicolo è che proprio tu
mi chieda perché io sia ridotto così!
Proprio tu che mi hai rubato l’anima
facendomi smarrire
nell’azzurro dei tuoi occhi:
innalzandomi nelle grandiose sfere
della terrena onnipotenza
per poi lasciarmi sfracellare
sul duro suolo della tua reale consistenza.

No, non dir niente!

Non diresti altro che mere ipocrisie
per giustificare il tuo vacuo atteggiamento.
Ascoltami invece... Ascolta cosa voglio dirti:
ridammi l’anima!
Ridammi l’anima
per quel che vale
– per quel che resta. –

Vestale di un dio infame
scendi dal tetro altare
di questo tempio di menzogna
eretto da chi – come me –
per sé stessi han vergogna.

Scendi e fatti guardare negli occhi.
Fa che io legga la mia stupidità
nelle tue gelide iridi
e abbia l’ulteriore conferma
dell’errore commesso
perdendomi nella tua aura
fecondatrice di inganni.
Destando una buona volta
la mia occultata ragione
che opprime il mio essere
stanco di vagare nell’oscura pazzia
e svegliarsi nella tormentosa notte
con l’impalpabile inconsistenza
della tua pelle sotto le dita.

Squallida visione
di un amore perduto,
di un amore mai avuto,
che non lascia altra scia
se non l’amara bocca
impastata dalla delusione
per averti conosciuta e amata
per un così breve istante.

Magro guadagno
per una vita smarrita
dietro l’assurda illusione
di poterti dire: sei mia!

PAGLIACCI - tratta dalla raccolta "la mia strada aveva l'orizzonte come limite" edita da akkuaria editrice


PAGLIACCI


Cala il sipario,
la buffa commedia è finita.Chissà se qualcuno abbia riso.Noi due no!Noi – interpreti
di questo stupido copione –scritto da qualche sadico scrittorenon potevamo ridere…E non possiamo neppure piangere perché non si piange
per una commedia buffa:la commedia della nostra vita.Anche se ti resta solo
la morte dentro il cuoree tanta voglia di chiudere
gli occhi e farla finita.Ma è solo una commedia – pure buffa e non si può morire per questo;meglio calare il sipario.
Abbiamo fatto il possibile per entusiasmare questo pubblico palesando tutti i nostri difetti
e almeno loro, spero
si siano divertiti.

sabato 17 ottobre 2009

FRAMMENTI DI VITA http://www.youtube.com/watch?v=A4r-hT61ytw


FRAMMENTI DI VITA
DISPERSI FRA RACCONTI,LETTERE E POESIE

(Raccolta inedita)PREFAZIONEDiventare all’improvviso spettatore della propria esistenza.Sarà strano, ma mi è accaduto proprio così. E senza neppure sapere perché. Perché proprio a me! La mattina mi sono svegliato libero, amato, felice, e di sera non vivevo più la vita come l’avevo vissuta fino ad allora, ma chiuso dentro una fredda e umida cella, mi vedevo vivere come se fossi sul bordo di un burrone e guardassi giù il mio corpo gemere, soffrire. E la rabbia più grande era di non poter far nulla per impe-dirlo nonostante ci provassi con tutte le mie forze. Ma le catene erano indistruttibili, e più le tendevo, più esse mi dilaniavano le carni; mi distruggevano la mente; mi uccidevano l’anima. Non vivevo più, ma viaggiavo con l’inconsistenza di un ecto-plasma in una dimensione nuova; come se la mia mente rifiutasse quella esistenza e si fosse rifugiata in un mondo irreale situato ad alcuni metri dal suolo, fatto di energie buone ed energie maligne, tutte figlie delle mie sensazioni.Mi vedevo vivere una vita che non volevo vivere, ma qualcosa mi impediva di farla finita. Una strana voce proveniente dai meandri più oscuri della mia anima sussurrava alla mia mente grevi parole. Non mi invogliava a continuare a vivere, come si po-trebbe pensare e fosse logico pensare, non mi spronava a combat-tere per difendere ciò che mi è più caro. Mi diceva solo guarda e rifletti. Questa è la vita, prendila come è! Impara da ciò che osser-vi dall’alto del tuo dolore e adegua il tuo modo di vivere ad una esisteva dove questi errori passati siano modificati se non addirit-tura superati.Ed io ho fatto questo: ho osservato. Me e gli altri. Non voglio peccare di presunzione, ma credo che in fondo qualcosa io abbia capito. Non tanto, ma qualcosa sì! Intanto passavano i giorni, i mesi, per diventare infine anni. Anni lunghissimi che non passavano mai. Io continuavo ad osser-vare il mio corpo dilaniato dalle vicissitudini della vita. La morte di mia madre dopo una lunga malattia, un amore finito, un matrimonio andato in fumo, tanti che credevo amici e si rivelavano chi vigliacco e chi traditore; avvocati che mi raggiravano e raggiravano la mia famiglia approfittando del loro dolore e del loro sconforto; magistrati giudicanti e inquirenti che si facevano beffe delle sofferenze altrui e interpretavano le norme a proprio esclusivo gusto e costume, utilizzando assurde consuetudini come quella criminale del libero convincimento.Queste sono solo alcune delle situazioni nefaste con cui ho dovuto confrontarmi e mi sto confrontando tuttora. Che ho guardato dall’alto e non affrontato come volevo per il semplice motivo che mi avevano tolto ogni mezzo per poter essere protagonista e poter dire la mia sulla “mia” esistenza.Cosa puoi fare, chiuso fra quelle mura, per una madre che sta morendo e tu non puoi neanche accompagnarla da un medico op-pure all’ospedale? Puoi solo soffrire per lei e aspettare il tele-gramma che ti avvisi della sua morte. Ed ella era mia madre, la mia stessa carne. E non ho potuto neppure darle un minimo di conforto. Neppure vederla morire. Mi hanno concesso di vederla per l’ultima volta un minuto prima che la sotterrassero: ammanettato e tra tanta gente che aspettavano di vedere la mia reazione quasi fossero stati al cinema. E io ti ho visto amore mio! Ti ho visto dopo sedici mesi dal tuo ultimo colloquio che mi hai fatto al carcere – quando ti sei sentita male per lo strapazzo del viaggio in pullman alle cinque del mattino – e neppure nel mio incubo peggiore avrei pensato che la volta successiva ti avrei rivisto dentro una bara. Come puoi far coraggio ad un’amata, che è la luce dei tuoi oc-chi, se puoi parlarle solo qualche ora al mese in una sala strapiena di gente urlante e dove degli agenti ti osservano e ti richiamano ad ogni piccolo gesto? Dove anche una carezza è proibita? La vede-vo soffrire e avevo vergogna di me stesso poiché la causa ero io: era l’amore che mi portava a mandarla perfino in analisi. E io avrei voluto almeno stringerla a me quando in un’amara lettera mi scrisse “Quanto ti amo amore mio, e quanto ti odio quando mi sveglio di notte e tu non sei al mio fianco”. Constatare che il no-stro rapporto già minato dalla lontananza dei nostri corpi si stava arrendendo alle troppe amarezze della vita e non poter far nulla per salvarlo è stata un’atroce frustrazione. Mille volte avrei preferito che la causa fosse un errore commesso senza riflettere che non quel lento stillicidio di un sentimento che tempo prima ci teneva in vita.In che modo puoi difenderti da false accuse se il giudice, il procuratore e il tuo avvocato sono soci dello stesso club e hanno deciso cosa fare della tua vita tra un set di tennis e una partita a golf? Appunto: lo spettatore. Puoi fare solo lo spettatore della tua vita, mentre altri la vivono al posto tuo.Quei luoghi e quelle situazioni rendono l’uomo vulnerabile: solo con se stesso in mezzo a tanta gente. Chi cerca di non pensa-re, chi si annulla abusando di psicofarmaci, chi perde la dignità inveendo contro tutti e, soprattutto, contro se stesso. Ogni uomo ha una reazione tutta sua in quei frangenti. Difficilmente ho trova-to due individui reagire allo stesso modo. Quello che è successo a me, dopo il primo periodo devastante psicologicamente e fisicamente, è stato di soffermarmi su tante cose che in passato per mancanza di tempo o di sensibilità non avevo mai considerato più di tanto. Ho incominciato a riflettere su quello che mi circondava – uomini e cose - e su di me. Su come avevo vissuto fino ad allora e, diamine! quanti errori! Errori per lo più in buona fede, per superficialità o negligenza. Niente nasce per caso, tutto ha un origine che spesso è occulta o imprevedibile, ma esiste. Basta riflettere, non commettendo il mio errore di farlo con il senno del poi.Il ragazzo che si era sottratto alla vita grigia assegnatole dal destino era riuscito in pochi anni ad emergere professionalmente e doveva solo godere dei benefici dei tanti sacrifici fatti stando lon-tano dalla sua casa, dai suoi cari. E invece il classico fulmine a ciel sereno lo aveva colpito in pieno – mi ha colpito in pieno – e di me, di tutto quello che avevo costruito oggi non è rimasto altro che cenere.I ricordi, soprattutto quei belli, dovrebbero dare gioia, invece per me sono diventati tanti chiodi che mi trafiggono le carni e mifanno rivivere con rimpianto il più bel periodo della mia vita. Un periodo che mai più rivivrò: un amore che mai più rivedrò. E pen-sare che per me lei aveva sacrificato tutto, aveva lasciato tutti, al-lontanandosi dai suoi cari per un tempo imprecisato. Poi era arri-vato il carcere, ed ella si era accorta che la sua vita ruotava in-torno alla mia presenza, e mancando essa, non era rimasto nessun appiglio a cui aggrapparsi. La vedevo deperire giorno per giorno e stare sempre peggio. La depressione l’aveva invasa; il male oscuro non aveva pietà e la stava annientando. La separazione dal mio cordone ombelicale che le apportava solo veleno e ma-linconia era inevitabile. In questo modo è finito un amore. Questo è il modo in cui può finire un grande amore.E mia madre, sempre instancabile a seguirmi in quell’amara sorte per i carceri di mezza Italia, incurante che il tumore alle ossa la stesse annientando. Anzi, lei pregava mio padre e le mie sorelle di non rivelarmi la verità sulle sue condizioni di salute per non farmi soffrire inutilmente, ed aveva sempre una parola di corag-gio, sempre un sorriso. Sempre una lacrima per quel figlio sventu-rato.Tutto ciò che amavo mi è stato precluso, e perché? Vorrei tanto saperlo…Cosa mi riserverà adesso il futuro è un incognita anche per me. Il mio amato e desiderato studio fotografico, ormai deve rima-nere solo una pia illusione. Riaprirla sarebbe solo un modo per in-debitarsi, senza spiragli di riuscita visto i tanti anni lontano dal settore, l’avvento della fotografia digitale e il periodo di crisi economica mondiale. I miei romanzi incompiuti resteranno chiusi in un cassetto per chissà quanto tempo, senza che io abbia la forza e la possibilità di completarli. Il mio passaporto si è bloccato ine-sorabilmente a trentuno visti e chissà se un giorno qualche altro foglio verrà riempito.Frammenti di vita è una raccolta che ho desiderato ardente-mente. Non poesie né racconti, ma tutto ciò che ho scritto, che non sia in forma di romanzo, nei tanti anni passati in prigione. Ad esclusione delle poesie edite da Akkuaria nella raccolta “La mia strada aveva l’orizzonte come limite” che ho voluto pubblicare a parte e per cui ringrazio la gentilissima e validissima nonché cara editrice Vera Ambra per l’aiuto datomi. Pensieri, massime, riflessioni, lettere, sangue sui fogli della vi-ta che sgorgava dalle mille ferite della mente devastata da un qualcosa di incomprensibile, di atroce, e, forse, di non meritato. Ecco cos’è Frammenti di vita. Ecco perché vorrei che esistesse: per non smarrire tutte quelle sensazioni a causa del buio del tempo. Sarà anche amaro rileggere di quei nefasti giorni, ma ogni dolore, ogni atroce sofferenza che ho patito deve diventare la forza per affrontare qualsiasi insidia od ostacolo la vita e il desti-no vorranno riservarmi.E se saprò affrontarli a testa alta, allora tutto questo patimento sarà servito a qualcosa.Oltre a ringraziare Vera Ambra, ringrazio gli editori delle case editrici Libroitaliano, Delta3 e Qualevita che in tempi diversi han-no ospitato i miei scritti nelle loro collane e riviste.Ringrazio la mia famiglia, sempre a me vicina nonostante tut-to, e i pochi amici che mi sono rimasti dopo tanti anni di disav-venture.Ma più di tutti ringrazio mia madre, la prima persona a credere in me, anche quando intorno e sulla mia persona si sprecavano quintali di veleno.Ciao mamma, sicuramente dal posto in cui riposa la tua anima mi vedi e riconosci l’amore e l’affetto che ti porto tuttora. Ti voglio bene.

venerdì 16 ottobre 2009

Amore lontano



Amore lontano
Guardi assente
Il tuo triste presente:
cos’è il tormento?
Chiedilo al respiro
che stenta ad uscire.
Chiedilo alla lacrima
troppo calda e troppo amara.
Le fitte al cuore
ti fanno capire
perché l’amore
fa rima con il dolore.
E tu soffri
e poi muori,
ma sempre
avrai la forza
di rialzarti
e dire al tuo cuore:
non arrenderti…
ecco il mio amore!

lunedì 12 ottobre 2009

LUNA D’AUTUNNO



LUNA D’AUTUNNO

Se tu chiudessi gli occhi,
lasciandoti cullare
dalle onde del silenzio,
sentiresti il mio respiro
farsi intenso
mentre - lenti –
i miei baci
scendono dal collo al seno.

Gusto con deliziosa passione
il dolce e acre sapore
della tua pelle,
inabissandomi nel mare
di quel piacere
in cui dei e poeti
sono affondati
per libera scelta.
Non guardare!
Non serve vedere
per capire
che andrò fino in paradiso...

giovedì 8 ottobre 2009

Ricordando il mio grande amico d'infanzia GAETANO



GAETANO
Come se non bastassero i miei già tristi pensieri. Come se la mia anima non fosse già satura di malinconia e cercasse di opprimersi ancora di più… Sempre di più! Come se non sapessi l’angoscia che provo pensando a te, ma stoltamente: ti penso... Penso a te che ti prendevi gioco di me quando ti invogliavo a seguirmi nella ricerca di nuove frontiere, nuove chimere. Invece tu con un sorriso mi dicevi che avevi il mare, la libertà, e l’amore di Maria.
Sì, avevi ragione! Non ti mancava niente per essere felice. Difatti se qualcuno mi avesse chiesto cosa fosse la felicità, gli avrei risposto di chiederlo al mio amico Gaetano. Lui sì che avrebbe saputo!
Il mare, la libertà, Maria.
Certo, bastava poco per renderti felice, anche se a te sembrava tanto, ma sono riusciti lo stesso a togliertelo, come se fossero stati invidiosi della tua piccola ma grande felicità.
Non potevi prevederlo, nessuno poteva! Neppure i classici sapientoni che tutto sanno - quando i guai succedono agli altri - avrebbero mai potuto prevedere che quella sera sarebbe successo un dramma così grande all’improvviso, e purtroppo per loro, nel tuo caso non hanno potuto vantarsi e dire: “Lo avevo detto!”.
L’alba era spuntata quasi all’improvviso, illuminando con la sua tenue luce sia noi che la piccola barca usata da Gaetano per pescare con la costa a vista. Come facevo ogni volta che avessi tempo, lo accompagnavo e gli davo una mano a srotolare la lunga lenza piena di ami ed esche, che lui faceva galleggiare poco sopra il fondale grazie all’equilibrio raggiunto tra zavorre di piombo e galleggianti in sughero. Di solito la lenza si tirava su con un verricello dopo qualche ora, e il più delle volte una piccola cernia o una spigola andava a riempire il contenitore in fondo alla piccola barca. Quella pausa tra una gettata e l’altra la usavamo per mettere in acqua le nostre canne e rilassarci nel silenzio della notte, godendo della compagnia delle stelle e del calore della nostra pluridecennale amicizia.
«Pensaci bene, prima di rifiutare, Tano.» cercai per l’ennesima volta di convincerlo ad aderire alla mia idea. «Io con il mio negozietto a stento pago le tasse, e tu sono più i giorni che non puoi uscire a pescare che non quelli in cui fai una buona pesca. Se ce ne andassimo a lavorare in quella fabbrica siderurgica su al Nord risolveremmo tutti i nostri problemi economici. Ci daranno anche un aiuto a trovare una casa in affitto, oltre al buonissimo salario, e dividendo le spese in qualche anno potremo mettere da parte un piccolo capitale.»
«Non sono d’accordo con te, Klem! La libertà che abbiamo ora la perderemo poiché dovremo sempre sottostare a degli orari e a degli ordini… E per me poter decidere cosa fare al mattino quando mi sveglio è più importante di una buona paga.»
Non ero d’accordo! Allora non avevo ancora chiare quali fossero le priorità per un uomo, e quella famosa libertà non la concepivo, non la consideravo così importante. Forse perché l’avevo e non mi rendevo conto di averla. Non mi rendevo conto quanto fosse importante lavorare anche quindici ore al giorno se si fosse deciso così, oppure decidere di non andare a lavoro perché quel giorno un amico aveva bisogno del tuo conforto e magari solo della tua silenziosa presenza.
Solo ora, pensando alle volte che vedevamo sorgere il sole in mezzo al mare, mi accorgo che tutto il tempo che ho perduto chiuso in uno stabilimento avrei potuto viverlo meglio. Non ci sono paghe tanto alte per ricompensare un’ora vissuta nella serenità assoluta che ti regala il mare al mattino, con il vento che ti riempie le narici del profumo delle alghe e della salsedine. Non ci sono paragoni! E l’uomo non è una talpa e ha il diritto di vedere il sole o il mare ogni volta che ne sente il bisogno. Altrimenti è prigioniero di un sistema voluto dai pochi per comandare e opprimere i tanti.
«Cerca di comprendermi, Klem. Cosa mi importa se oggi abbia pescato sì e no quello che basta per pagarmi un pranzo e una cena? Sono stato in mezzo al mare che adoro e considero il mio elemento naturale; avevo voglia della tua compagnia e tu sei venuto nonostante ti abbia svegliato le quattro del mattino. Tra un’ora torneremo a riva e andrò al mercato dove venderò il mio pesce e poi stasera pulito e rilassato mi recherò dalla mia Maria e andremo a fare un giro per il centro, liberi e felici. Quante di queste cose che amo non avrei potuto fare se avessi accettato un lavoro diverso e più retribuito?»
«Ma non sarai sempre giovane! Il mare e il cielo non ti saranno sempre amici! Cosa farai quando sarai vecchio o malato senza un contributo assistenziale versato?»
«Pensi alla vecchiaia e intanto butti via la gioventù!» fu la sua risposta tra il triste e l’ironico. «Chi ti dice che il domani sia come prevedi? Verrà poi il domani? Preferisco godere dell’oggi fino a quando lo potrò fare, che vivere come non desidero aspettando un domani che nessuno mi garantisce che verrà.»
Tutto in funzione della felicità! Ecco come ragionava il mio amico d’infanzia. La persona che amavo più di un fratello. Niente voli pindarici, niente progetti a lungo termine. Gli bastava il mare e la sensazione di libertà che provava su di esso per essere felice. Anche se per completare il quadro aveva bisogno di una ragazza che lo amasse per quello che era e condividesse la sua scelta di vita: Maria!
Ci eravamo lasciati oltre il molo. L’aiutai a mettere le cassette di pesce che avevamo preparato e mentre io mi diressi a casa per farmi una doccia e andare ad aprire il mio negozietto da fotografo, Gaetano si recò al mercato sperando che l’asta odierna fosse più vantaggiosa delle precedenti.
È stata l’ultima volta che l’ho visto! L’ultima volta che ho creduto che potesse esistere un uomo felice anche se povero.
Il mercato era andato a gonfie vele, e lui era rientrato felice a casa aspettando impaziente che giungesse l’orario di chiusura del negozio ove Maria era assunta come commessa. La sua idea era di portarla a mangiare in un tranquillo ristorantino vicino Bacoli e poi andare al centro per comprare qualche bel capo di abbigliamento. E poco importava se fosse rimasto senza soldi per il giorno dopo. La sua vita era il mare, la libertà e Maria. Non voleva altro! Non chiedeva altro.
Quando arrivò al luogo dell’appuntamento, nonostante l’orario di chiusura fosse passato da un pezzo, di Maria nessuna traccia. Eppure la serranda era abbassata e tutto faceva credere che nel negozio non ci fosse nessuno. Di solito Maria si fermava sotto un vicino porticato per attenderlo, ma era sicuro che non ci fosse stata quando era passato. Scese dall’auto e si mise a cercarla con lo sguardo. All’improvviso sentì un lamento sommesso, quasi fosse stato occultato appena fosse stato emesso. Si avvicinò al porticato dove spesso si fermava Maria e si mise ad ascoltare. Di nuovo gli sembrò di sentire quel lamento, e senza indugio si diresse verso il cortile interno che a quell’ora sembrava abbandonato.
In un angolo nascosto vide la scena più agghiacciante della sua vita: due uomini, apparentemente giovani, stavano portando violenza alla sua Maria. Vedendola minacciata, non pensò ad altro che a difenderla, senza pensare che avrebbe perso tutto. Senza pensare che una toga, che forse non aveva mai amato, non avrebbe capito, non avrebbe compreso l’empirica reazione di un cuore devoto. Semplice, ma innamorato.
Se solo si fosse valutato cosa poteva passare nella mente di un uomo – o meglio ancora – cosa poteva non passare, perché in quel momento Gaetano aveva fatto tutto fuorché pensare, si sarebbe giudicato il suo comportamento con altri parametri, e forse la storia avrebbe avuto un esito diverso, anche se non meno terribile.
Uno degli uomini teneva ferma la sua fidanzata per le braccia, mantenendo sulla sua bocca un fazzoletto inzuppato del sangue delle labbra spaccate della ragazza, mentre un altro l’aveva denudata e stava abusando di lei, nonostante ella avesse ancora la forza di agitare le gambe e lanciare degli urli soffocati. Gaetano senza riflettere prese per le spalle l’uomo che teneva ferma la sua amata e lo scaraventò contro il muro opposto con tanta forza da fargli rompere la testa contro la parete. L’altro stupratore si allontanò dalla sua vittima e prese un coltello dalla sua tasca, non considerando che poco lontano da Gaetano ci fosse della legna per il camino.
Quale fu la molla che spinse il giovane pescatore a prendere un grosso pezzo di legno e colpire con violenza l’uomo, nessuno lo sa, resta il fatto che dopo il primo colpo ce ne furono altri e il sadico violentatore di ragazze sole e indifese morì con la testa fracassata da una gragnola di colpi con ancora il pantalone sbottonato.
Per tutti Gaetano aveva fatto un gesto sacrosanto, ma fu lo stesso imprigionato e accusato della morte dei due infami. Povero amico mio! Ricordo che dicevi, quando stavamo a ridere e scherzare sulla tua barca: “Ho il mare, la libertà e Maria!” Ebbene in un colpo solo ti hanno tolto il mare, ti hanno soppresso la libertà, e, dopo poco tempo, hai perduto Maria, a causa di quella esperienza devastante, che poche persone possono sopportare.
Il tuo calvario sembrava senza fine. Come se si fosse avviato un ciclo terribile che si doveva concludere o con la tua pazzia o con la tua morte. Cercammo tutti di tenerti nascosto il suicidio della tua amata compagna per evitarti un gesto inconsulto. Ma chissà come ne venisti a conoscenza. I tuoi familiari chiesero non una ma mille volte che tu venissi scarcerato o almeno guardato a vista. Ma per i magistrati un carcerato valeva un altro, e tu dovevi espiare prima una parta consistente della pena irrogata e poi potevi accedere ai benefici di Legge previsti con la legge Gozzini, sempre se il magistrato di sorveglianza competente avesse ritenuto che tu dovessi accedervi, data la non obbligatorietà di tali benefici e la discrezionalità di poterli dare o non dare in base al libero convincimento del magistrato, o ancora del più meschino conflitto ideologico dello stesso giudice che magari vorrebbe le pene ancora più severe e l’abolizione di gesti umanitari.
Ma tu avevi già deciso cosa fare. Ti è bastato qualche minuto, un agente più distratto, o forse più clemente, ed ecco l’occasione per decidere da solo il tuo destino; come è giusto che sia. E in un istante hai riavuto il mare, hai riavuto la libertà. E chissà, forse hai riavuto Maria…

mercoledì 7 ottobre 2009

SE BASTASSE PIANGERE


SE BASTASSE PIANGERE

Cosa guardi?
C’è solo deserto!
C’è solo dolore
in questo mondo
privo d’amore.

Nel tuo domani
non esistono sogni,

non esistono giochi.
Sei un bambino,
ma il tuo destino
è segnato dal vuoto
di un pozzo senz’acqua.

Ah, se bastasse piangere,
e tu potessi bere
ogni mia lacrima,
darei l’anima
per sentirti ridere.

La fame ti assale,
la gola ti brucia;
alzi lo sguardo
al fiume di ferro
e ti chiedi perché
non porti l’acqua
oltre al petrolio.

La gente che passa
sembra distratta
e ti lasciano morire
tra la sabbia che scotta.

Senti i boati:
la guerra è vicina!
Trema la terra,
non trema il tuo cuore.
Se questa è la vita,
meglio farla finita.

lunedì 5 ottobre 2009

CHIUDI LA PORTA


CHIUDI LA PORTA


Siedi mio cuore!
Siediti sul gelido
trono del dolore
e distogli lo sguardo
dalla tetra lapide
sotto la quale
hai seppellito
il tuo amore.

Siedi mio cuore!
Non pensare con rancore
ai fasti passati
figli dei sogni realizzati
– e dimentica –
quell'antico splendore
che ti apporta solo dolore.

Siedi mio cuore!
Siedi e chiudi la porta.
Chiudi la porta
alle passioni
alle illusioni.
Chiudi la porta
a ciò che chiamiamo amore...

Il mio nome


Il mio nome

Sobbalza al vento
la mia anima sgomenta,
e acre è l’impeto
del mio tormento.
La tua pelle ha il sapore
del mare in tempesta
e allontana da me
l’angoscia del tempo.
Il tuo cuore è stupendo:
dolce e intenso!
La tua magia è la vita.
Il tuo dono è la vita!
Le tue carezze
disegnano su di me
l’arcano mistero
della tua passione,
e miele gusto dalle tue labbra.
Ti voglio con il corpo,
ti ho con l’anima.
Mi incatena il calore
del tuo amore
perché desiderio
è il mio nome!

sabato 3 ottobre 2009

E’ NOTTE


E’ NOTTE

E’ notte
per questo mondo
bagnato da fiumi di fango
e mari di sangue.

E’ notte!
Una notte buia,
senza stelle,
senza pace…

Domani, forse,
il sole brillerà in alto;
ma per noi,
che amiamo questa Terra,
sarà sempre
NOTTE!

Cielo busciardo


Cielo busciardo

Quanta suspire.
Quanta turmiente.
Pecchè chiagne si saie
ca nun serverr' a nniente?
Te tremman' e' bbraccia
ca stregnen' 'o core
senza ca riesci
a le dà calore.
Tremma 'sta vocca,
parlanno d'ammore,
ma nisciuno risponne
a 'sto grid' 'e dolore.

Guardi cu speranza
'o cielo stellato,
ma stanott' è busciardo,
e chi t'ha lassato
nun sta llà ca te guarda.

Quanta suspire...
chiagne pe l'ammore
perduto pe sempe,
ma nun fa' pazzie!
nun guardà 'stu mare
ca nfame te chiamma.
Rispiett' 'a vita,
e nun penzà da fà finita.
Cielo bugiardo

Quanti sospiri.
Quanti tormenti.
Perchè piangi se sai
che non servirà a niente?
Ti tremano le braccia,
che stringono il cuore,
senza che riesci
a dargli calore.
Trema la bocca,
parlando d'amore,
ma nessuno risponde
a questo grido di dolore.

Guardi con speranza
il cielo stellato,
ma stanotte è bugiardo,
e chi ti ha lasciato
non sta lì a guardarti.

Quanti sospiri...
piangi per l' amore
perduto per sempre,
ma non fare pazzie!
Non guardare questo mare
che infame ti chiama.
Rispetta la vita,e non pensare a farla finita.

giovedì 1 ottobre 2009

Non sarai mai un semplice ricordo (a gentile richiesta)


Non sarai mai un semplice ricordo.
Sento il rumore dei tuoi passi:o sono i battiti del mio cuore?Dimentico le poche certezzeche mi erano compagne e penso alla vitasenza la brezza del vento a carezzare la pelle.Sono vivo ma non me ne accorgo.Forse perché sono morto e insisto a voler vivere;ed è ora che io sparisca attraverso il fumo del tempo,raggiungendo il desolato mondo delle anime inquiete.Nessun respiro di passione,né sguardo innamorato porterò nella mia valigia vuota.Sei stata una presenza troppo intensaper rilegarti nel fiume dei ricordi– ove c’è troppa melma e non meriti di stareper la purezza del tuo essere –ed il tuo amore sarà nel mio cuore sempre vivo, sempre vero.

martedì 29 settembre 2009

Clessidra



Clessidra
Scorre il fiume del mio tormento
e porta con sé l’angoscia del tempo.
Sono stato prigioniero
- per scelta o per noia –
di un amore sbagliato.
Ma la culla del destino
è la forza della passione
e con essa sono vivo!
Non più ferite aperte
lacerano il cuore e la mente,
ma solo carezze brama la mia pelle.
Ho sete del tuo sapore;
ho fame del tuo volere.
Tutto ciò che mi circonda
mi ricorda di te.
Mi porta a te!
Ed io ascolto le sirene del mare
intonare il nostro canto
mentre i giorni volano via
e presto sarai di nuovo mia.

vecchio blog:)

klem
venerdì 18 settembre 2009

Folle visione sociale e politica di un operaio assonnato
Folle visione sociale e politica di un operaio assonnato
Ci sono momenti di strana quiete, come quelli all’alba, dentro un freddo e solitario vagone della metropolitana, quando la mente - non ancora del tutto desta - incomincia a vagare come impazzita, pensando a cose più o meno assurde. Per non annichilirmi avevo imparato a non pensare mai a cose brutte come, per esempio, che il sole non fosse ancora spuntato e già mi stavo recando in fabbrica per uscirne quando lo stesso sole sarebbe tramontato da ore. Considerando che l'astro diurno è da sempre ritenuto un simbolo di vita, era lo stesso una vita la mia, anche se non lo vedevo per sei giorni a settimana? Sarebbe stata una frustrante domanda da fare a se stessi alle cinque del mattino, con ancora da fare un’ora di viaggio fra metropolitana e autobus per raggiungere il posto di lavoro. E che amaro in bocca lasciavano quelle brutte sensazioni. Ecco perché il più delle volte mi mettevo a fantasticare di trovarmi in luoghi esotici che avevo visto solo in televisione. Non risolvevo nulla, ma almeno passavo qualche ora sereno, distaccandomi quel tanto che bastava dalla realtà per ritrovare un briciolo di voglia di vivere.Avevo sonno ed ero stufo di alzarmi così presto per recarmi in un luogo che detestavo, in cui lavoravo nove ore e quarantacinque minuti e me ne pagavano solo otto, con la mezza giornata del sabato da fare obbligatoriamente e gratuitamente, considerata come un dono al datore di lavoro, ma non potevo neppure lamentarmi pubblicamente - anche con i miei amici e familiari - che subito mi attaccavano con la solita solfa che avrei dovuto ringraziare chissà quale padreterno in cielo ad avere la fortuna di conservare un modesto ma sicuro salario in tempi di recessione e crisi mondiale. Pensando a ciò, mi ritornavano in mente le parole di alcuni conoscenti che avevano perduto il posto di lavoro a causa della chiusura della fabbrica in cui erano assunti e della loro disperazione. Era terribile trovarsi a cinquant’anni senza lavoro, con il mutuo sulle spalle – o della casa, o dell’auto, oppure altro – e non esser riusciti a mettere da parte neanche un piccolo capitale in previsione dei tempi bui, come facevano i nostri padri, operai anch’essi, grazie al tenore di vita più congruo allo stipendio e al salario. E proprio da quel punto aveva origine il ragionamento che facevo ad amici e parenti. Se quelle persone, parsimoniose e oculate, dopo una vita di lavoro non erano riuscite a conservare nulla per quando ne avessero avuto bisogno, per quale motivo avevano lavorato? Per una pensione che forse non avrebbero avuto mai data la condizione di persone comuni in cui loro malgrado si ritrovavano? Una persona aveva diritto a vivere dignitosamente e alla fine del percorso avere di che essere soddisfatta di come ha vissuto la sua esistenza! Non così, trattato come un cavallo azzoppato a cui si pianta una pallottola in testa, non per farlo smettere di soffrire, ma per toglierselo dai piedi e non dargli più la biada giornaliera.Tanti sindacalisti o persone che si dicevano vicine ai lavoratori erano diventati deputati o senatori, ma nessuno era riuscito a cambiare nulla o quasi del destino segnato di tanta gente. E non perché fosse mancata loro la volontà di farlo, ma come una noce da sola in un sacco non fa rumore, così tutti quei salvatori dei ceti meno abbienti erano presto finiti nel dimenticatoio, schiacciati dalla grande maggioranza che quei problemi era felice di causarli invece di risolverli. Mentre dicevo ciò pensavo agli ultimi governi, con la maggioranza composta da imprenditori o da avvocati votati al servizio dei potenti e diventati parlamentari se non addirittura ministri grazie al potere occulto dei loro protettori dai conti correnti di milioni di euro. Quale legge a favore degli operai sfruttati da loro o dai loro protettori potevano varare? Sarebbe stata un’utopia il solo pensarlo.Forse mi sono assopito e ho incominciato a vedere distintamente delle immagini olografiche che mi danzavano davanti agli occhi. Forse era un sogno o forse era una visione che la mia mente si divertiva a trasmettermi – in ogni caso era un vero e proprio manifesto politico in difesa del lavoratore. Era molto più di un proclama: era un modo per ognuno di interpretare il proprio ruolo sociale. Tutti avrebbero fatto la propria parte in base alle proprie capacità fisiche-intellettive, e ognuno avrebbe guadagnato il giusto compenso in base a proporzioni oneste e studiate affinché ognuno avesse il proprio tornaconto per l’impegno e la professionalità messi in campo. Chi decideva quali fossero le proporzioni per un lavoro dirigenziale e per uno manuale? Il risultato finale! Valutando che tutti gli stipendiati delle amministrazioni che non producevano tornaconto, ma dirigevano e organizzavano gli altri, fossero ridotti nel numero bastante e necessario ad ogni settore produttivo verso cui erano indirizzati, e che lo stesso settore li retribuisse, come faceva con gli altri impiegati, in base al guadagno ottenuto da tutte le aziende del settore interessato ai servizi di quel tipo di amministratori.Ma bisognava prima di tutto eliminare i punti che non andavano bene e i tanti personaggi che spadroneggiavano su tanti altri. Fare tabula rasa di un sistema fallimentare - se visto con l’occhio di un lavoratore che dopo tanti anni di vita sacrificata - con salari e stipendi al limite minimo di sussistenza, non poteva permettersi il lusso di comprarsi neanche un vestito decente. Primo fra tutto si doveva ridistribuire il capitale abolendo la più grande legge del libero mercato, quella che prevede che l’imprenditore guadagni percentuali stratosferiche dal capitale investito. La banca che interesse avrebbe dato per il suo capitale? Il 10%? E allora se il proprietario di ogni singola azienda ne avesse guadagnato il 40% dal suo investimento di base non avrebbe avuto di che lamentarsi; e in tre anni sarebbe ritornato proprietario di tutto il suo capitale. E a chi si fosse lamentato e avesse puntualizzato che il capitale si poteva anche perdere in un investimento sbagliato o non proficuo, si rispondeva che per la sua percentuale lui aveva messo sul piatto del denaro, l’operaio e lo stipendiato per la loro più modesta quota consumavano la propria vita; molto più importante di un capitale. Ecco perché uno dei primi cambiamenti doveva essere quello morale e incominciare a considerare la vita umana superiore ad un investimento finanziario.Il restante 60% del guadagno avrebbe dovuto coprire gli stipendi e i salari e predisporre una percentuale per gli enti assistenziali e amministrativi, mentre un’altra quota sarebbe stata utilizzata per l’innovazione e l’accrescimento dell’azienda. Più il guadagno sarebbe stato alto, più le percentuali sarebbero aumentate, per evitare in questo modo che un imprenditore guadagnasse cifre spropositate, e poi appena per un anno o due se il suo resoconto fosse stato negativo, mettere in cassa integrazione i lavoratori, dimenticando che gli anni prima aveva accumulato un ingente capitale sulla loro pelle.Per controllare il funzionamento di tutto quel grosso meccanismo, si dovevano evitare strategie complicate, così articolate da nascondere nel loro interno l’inganno. Lo Stato non doveva essere un despota o un padrone, ma un socio e un consigliere, e gli ispettori preposti al controllo dei vari settori della vita pubblica e lavorativa, dovevano essere al di sopra di ogni sospetto. Tutti si lamentavano delle tante morti bianche, ma se il controllo era da sempre la parte debole e più corruttibile del sistema, normale che gli incidenti fossero all’ordine del giorno! Se gli imprenditori le innovazioni le facevano solo sulla carta per non pagare l’IVA, e poi usavano attrezzature e macchinari fatiscenti, era più che ovvio che qualche operaio si ferisse o morisse manovrando quella ferraglia! La cosa ridicola consisteva nel fatto che venivano strapagati dai contribuenti alcuni addetti al controllo che, loro stessi o i loro uffici, avvisavano gli imprenditori che tale giorno e a tale ora avrebbero fatto un controllo, e questi lestofanti si preoccupavano di far bloccare le macchine con le lame rotanti non protette, in pieno contrasto con le più semplici norme in materia di sicurezza, dicendo agli ispettori che fossero macchine in disuso utilizzate per pezzi di ricambio, entrambi incuranti che sopra quelle lame ci fosse il sangue della mano dell’ultimo operaio che pochi giorni prima si era tagliato, e farle ritornare a produrre appena i famigerati ispettori fossero andati via.Per realizzare questo grande cambiamento prima di tutto ci voleva un garante valido ed efficace come solo un buon governo potrebbe esserlo. Ma quale governo sarebbe stato ideale per salvaguardare e far perdurare nel tempo un’organizzazione socio-sindacale del genere, voluta dalla Costituzione e nata per il grande desiderio di essere tutti non solo socialisti, (il significato vero di questo termine, dopo Garibaldi è stato usato spesso in modo improprio) ma coscienti che in questo mondo qualunque sia il sesso, il ceto sociale, il colore della pelle, l’etnia o l’istruzione, ogni uomo è da ritenersi uguale ad un altro? E soprattutto, quale governo sarebbe stato capace di difendere un sistema che avrebbe avuto il compito di occupare professionalmente tutti e farli guadagnare non un prezzo imposto a priori o imposto da un despota celato nei panni di un capitalista, ma in base alle singole capacità e alla singola volontà? Per dirigere tale sistema sociale umanitario e ugualitario, doveva essere per forza un governo e un parlamento che invece di pensare ai propri interessi, o seguire solo le strategie di partito o le varie ideologie, avrebbe varato una riforma elettorale in cui si guardasse soprattutto alla qualità del singolo individuo candidato, che prima di essere eletto doveva non soltanto far partecipe gli elettori del programma politico del suo partito o della sua corrente politica, ma a cosa si fosse interessato lui personalmente e quali risultati si era prefissato o avrebbe potuto conseguire. E talora fosse stato eletto e non avesse mantenuto fede almeno in parte a ciò che avesse promesso, non avrebbe potuto ricandidarsi per le prossime elezioni.Per essere ritenuto veramente perfetto, il novello Paese del sole – parafrasando Campanella – doveva far sì che chiunque credesse in chiunque, e per questo sarebbe stato necessario togliere tutte quelle agevolazioni parlamentari che avevano incrinato la fiducia di un popolo intero e impostare a priori uno stipendio congruo per i parlamentari, comparandolo agli stipendi medi nazionali dei dirigenti non proprietari di aziende, e, dopo la fine della loro vita politica, dovevano ritornare al loro vecchio impiego, considerando gli anni occupati a fare politica attiva come normali anni di lavoro con tributi e contributi simili agli altri stipendiati.In ultimo, considerato che spesso si guarda con diffidenza qualsiasi nuovo proclama politico, e si sente dire il più delle volte la classica frase: “Tanto non cambierà mai nulla e siete tutti uguali!”. Oppure: “Voi criticate ma non proponete!”. Per completare quello che purtroppo era solo un bel sogno, ebbi come ultima visione un vero e proprio manifesto elettorale che, se veramente fosse stato eseguito alla lettera, avrebbe fatto funzionare di nuovo la macchina del nostro Paese – se pur qualche volta fosse funzionata in modo veramente democratico.I punti erano pochi e chiari:· Imposizione di investimento a scopo produttivo di tutti i capitali superiori al milione di euro depositati presso gli istituti bancari nazionali e stranieri;· Abolizione di tutti gli organi di controllo e di tutti gli incarichi amministrativi inutili e dispendiosi;· Creare una nuova organizzazione sindacale, con elementi provenienti dalle altre organizzazioni sindacali, scelti in base a criteri di assoluta competenza e onestà, che tracci il tornaconto in percentuale per ogni categoria di lavoratore in base al fabbisogno medio nazionale: dal dirigente al contributo casalingo per la massaia;· Riforme costituzionali in materia di elezioni e modifiche al potere esecutivo e a quello legislativo, affinché i parlamentari vengano considerati come dei normali lavoratori al servizio del popolo e vengano retribuiti secondo la media nazionale;· Espropriazione da parte dello Stato di tutte le aziende con titolari che non vogliono aderire ai cambiamenti sociali, che non sono discutibili e non sono passibili di variazioni e possono essere modificati solo dietro referendum con un voto che superi di 1 la maggioranza assoluta degli aventi diritto;· Sequestro dei capitali occultati e utilizzo degli stessi da parte dello Stato per opere assistenziali e/o mutualistiche.Mi stavo gustando il mio fantastico manifesto, valutandolo punto per punto quando un brusco strattone da parte del poco cordiale conducente mi avvisò che eravamo arrivati al capolinea. Dopo un paio di sbadigli più o meno lunghi, mi alzai e mi diressi alla fermata dell’autobus per fare l’ultima mezzora di viaggio, traffico permettendo. Il sogno era stato stupendo e aveva lasciato dei serafici strascichi in me, ma di quello potevo essere poco felice, poiché appena sarei entrato in fabbrica, tutte le sensazioni belle che avessi provato prima sarebbero svanite in un istante.
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giovedì 17 settembre 2009

Non sarai mai un semplice ricordo. (poesia inedita)

Non sarai mai un semplice ricordo.Sento il rumore dei tuoi passi:o sono i battiti del mio cuore?Dimentico le poche certezzeche mi erano compagne e penso alla vitasenza la brezza del vento a carezzare la pelle.Sono vivo ma non me ne accorgo.Forse perché sono morto e insisto a voler vivere;ed è ora che io sparisca attraverso il fumo del tempo,raggiungendo il desolato mondo delle anime inquiete.Nessun respiro di passione,né sguardo innamorato porterò nella mia valigia vuota.Sei stata una presenza troppo intensaper rilegarti nel fiume dei ricordi– ove c’è troppa melma e non meriti di stareper la purezza del tuo essere –ed il tuo amore sarà nel mio cuore sempre vivo, sempre vero.
Pubblicato da klem a 0.50 0 commenti
mercoledì 16 settembre 2009

Il mio nome (inedita)

Il mio nome
Sobbalza al ventola mia anima sgomenta,e acre è l’impetodel mio tormento.La tua pelleha il saporedel mare in tempestae allontana da mel’angoscia del tempo.Il tuo cuore è stupendo:dolce e intenso!La tua magiaè la vita.Il tuo donoè la vita!Le tue carezzedisegnano su di mel’arcano misterodella tua passione,e miele gusto dalle tue labbra.Ti voglio con il corpo,ti ho con l’anima.Mi incatena il caloredel tuo amoreperchédesiderio è il mio nome!
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venerdì 11 settembre 2009

test da facebook

CHI ERI NELLA VITA PASSATA?
soluzione:
Una Strega del XIII sec.Eri una donna del XIII sec. della Francia Meridionale accusata di Stregoneria e bruciata viva sul rogo, insieme agli altri eretici. Eri una levatrice, una curatrice, una donna sempre attenta ai bisogni degli altri ed una grande esperta di erbe medicamentose. Il tuo era un vero e proprio sapere, nonostante vivessi in piccoli ed isolati villaggi, privi di istruzione alcuna, il tuo desiderio di conoscere era troppo profondo e dunque ti istruivi come potevi portando avanti un'antichissima tradizione. Non venivi capita, poichè eri diversa, ma sapevi aiutare chi ne aveva bisogno, seppur spesso non venivi ringraziata. Nonostante tutto non hai mai rinnegato i tuoi pensieri, anche se ti hanno portato alla morte. Cosa ti è rimasto della tua vita passata? Sei un/a ribelle, che agisce nel senso opposto agli altri, spesso per dispetto e per il bisogno di non essere uguale alla massa. Sei testardo/a e un pò libertino, ma è solo perchè non hai paura di accettare la verità. Sei coraggioso/a ed anche molto curioso/a nei confronti del mondo e della cultura. Purtroppo a volte sei anche poco disponibile a trovare un compromesso con gli altri, quasi ti divertissi ad essere sempre considerato/a un/a "diverso/a".
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giovedì 10 settembre 2009

CLANDESTINI (tratta dalla raccolta La mia strada aveva l'orizzonte come limite)

CLANDESTINILa vecchia carretta di marecol pieno di carne umanacomincia lo stanco arrancarecon mèta la riva lontana.Va alla deriva tra gli alti flutti con la stiva piena di sogni distrutti.Scappano dalla guerracon la morte nel cuorescappano da una terradove si mangia dolore.Affrontano il mareper dare ai figliun futuro d'amare.Ma i nuovi confinihanno fragili appiglie i loro destini sono segnatida chi non fa altroche chiamarli clandestini.
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mercoledì 9 settembre 2009

Istante supremo (tratta dalla raccolta La mia strada aveva l'orizzonte come limite)

ISTANTE SUPREMOÈ la gelida mano a contrastarel’intenso calore dei tuoi occhi.Teneramente mi carezza la guanciae scivola tremula nei capellimentre lentamente ti avvicinie sfiori le labbra facendomi rabbrividirecol tuo caldo e appassionato respiro.Estasiando i miei sensicol più sensuale dei sorrisicon un dolce sussurro delicatocome il volo di una piumami dici: ti amo.Ti stringo a meannullando nel dolce e acreprofumo della tua pellela mente errante.Poggio la tua testa sul mio pettoe guardando il Cielo– prego tacitamente –che se pur dovessi morireche sia in quest’istante.
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In ricordo di un amore finito e alla sensazione che lascia
CHIUDI LA PORTASiedi mio cuore!Siediti sul gelidotrono del doloree distogli lo sguardodalla tetra lapidesotto la qualehai seppellitoil tuo amore.Siedi mio cuore!Non pensare con rancoreai fasti passatifigli dei sogni realizzati– e dimentica –quell'antico splendoreche ti apporta solo dolore.Siedi mio cuore!Siedi e chiudi la porta.Chiudi la portaalle passionialle illusioni.Chiudi la portaa ciò che chiamiamo amore...
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lunedì 28 settembre 2009

Dedicata a te


Dedicata a te!
Ladre sono le labbra
che rubano al miele
il delicato sapore.
Fra le tue braccia
ho trovato il calore.
Diafana la tua bellezza:
ma dal prisma
prendi il colore.
È cristallo la tua anima
Bella
Splendida
-Fragile –

TERZO VIALE NUMERO 10 (tratta dalla raccolta La mia strada aveva l'orizzonte come limite)


TERZO VIALE NUMERO 10


Come un automa cerco il luogo indicato
– smarrendomi in viali dove anche gli alberi
– allineati in perfette geometrie sembrano
freddi e in sintonia con questo luogo di morte.

Terzo viale numero 10.

È qui che ti sei trasferita e mantieni la promessa
d'aspettarmi qualunque cosa succedesse.
È qui che mi sto recando per poterti
rincontrare senza accorgermi che
gli occhi velati di lacrime non vedono più
questo angusto luogo ma si perdono
nella nebbia del tempo.

Terzo viale numero 10.

Il bianco marmo risalta la tua foto
e guardandola crollo in ginocchio
sentendo una fitta al cuore. Non ci credevo
non ci credevo e invece è così!
Terzo viale numero 10: ecco dove sei!
Ecco il perché del tuo lungo silenzio…

Facendomi forza alzo la testa; con gli occhi appannati
distinguo a fatica il tuo meraviglioso sorriso
e mi sembra di sentire le tue parole
mentre smarrisco la ragione, guardando il tuo volto
che esprimeva amore, e tu felice ti regalavi a me.

«Ti ho fatto io questa foto, ricordi amore?»
Adesso – invece di ingiallire nel nostro album –
risalta su una fredda lapide al terzo viale numero 10
di un cimitero di periferia dove anche i verdi alberi
sembrano tetri come la tua ultima dimora…

venerdì 25 settembre 2009


In un momento terribile dedicai questa poesia, tratta dalla raccolta edita da Akkuaria editrice "la mia strada aveva l'orizzonte come limite" alla persona che allora era più della mia vita e che ancora oggi vale molto per me. Il titolo è LA PORTA CHIUSA
LA PORTA CHIUSA


Un’altra ora è andata!
Un’altra ora di questa opaca
e interminabile notte.

L’ennesima sigaretta
– rapidamente ha seguito
la sorte delle altre –
mentre immobile ed esausto
guardo verso la maledetta porta
che continua a restar chiusa.

La fisso con la speranza
che molto presto si apra
e non voglio perdere neppure un istante
di quella meravigliosa visione.
Ma continua a restare chiusa
e non ascolta la sommessa preghiera
che invoco ad ogni piccolo movimento
dell’ozioso orologio.

Un brivido…
«Dio com’è fredda questa stanza!»
Sento il freddo fin dentro le ossa
fin dentro l’anima.
Agghiaccia il mio cuore.

Riverberi del passato
– desideri del presente –
ma nell’oblio della mente
vedo la porta che si apre
e tu sorridente mi guardi
per poi sparire lentamente
attraverso la porta
inesorabilmente chiusa.
Accarezzo la tua ombra con gli occhi
prima che l’illusione svanisca
prima che la fredda porta
ti nasconda al mio sguardo
annientando anche i miei sogni
oltre che la vita.

Apriti maledetta!
Apriti per favore!
Lei è lì, oltre la tua soglia
che sta vivendo
– sta vivendo senza di me… –
E io intanto,
– impietrito come un cretino –
con gli occhi fissi verso la porta chiusa
lentamente sto morendo.

Vorrei correre, abbracciarti, baciarti.
Pregarti di perdonarmi.
Dimenticare tutto il resto e amarmi
ma sono dietro questa stramaledetta
porta chiusa – e anche se vicina –
non ti ho mai sentita così lontana.

Il tuo amore
era l’ultima cosa che mi restava.
L’unica ragione che mi impediva di impazzire
e – incolpando la porta chiusa – me l’hai tolto.

Sei il mio passato
e mi stai distruggendo
il mio già triste presente
annullando ogni mia speranza
per un futuro diverso.
Vorrei odiarti ma non ci riesco.
Impreco contro di te oscenamente
cercando nei meandri della mente
le parole più dure, più cattive.
Ma finisco sempre per parlar d’amore.
Ripudiare il mio amore per te
sarebbe come rinnegare me stesso.
Non posso far altro che sognarti
sperando che questa porta
si apra al più presto: e tu sia lì
– oltre la sua soglia –
innamorata come una volta.