sabato 31 ottobre 2015

IL MISTERO DEL FIUME cap. 1

        
IL MISTERO
DEL FIUME

di Klem D’Avino







       
                            «Non nobis Domine,
                                   non nobis,
                       sed nomini Tuo da gloriam».



                                                                                             
A Massimo Maria Civale
 i miei ringraziamenti ,                                                                                       per avermi offerto l’idea           di questa narrazione.



                                                                                                         Alla mia cara amica   Michela Buonagura                                                                                                                                                                                                     
    per la collaborazione
                                                                                                                     L’autore
                                                                  





A mia moglie Margherita,
                                                                                                                    ragione della mia vita.

I
L’entusiasmo di Antonio era contagioso. Avrebbe coinvolto anche l’intera Nazione nel suo progetto ambientalista, se avesse avuto i mezzi per farlo.
Con la biologa Francesca Maione aveva fondato l’associazione Salviamo il Sarno, un motto e un monito contro tutti quelli che avevano cercato con ogni mezzo di ostacolarlo.
Alle minacce e pressioni, chiare o velate, che riceveva dalla malavita organizzata e da politici e imprenditori ad essa legati a doppio filo, ormai era abituato e procedeva dritto per la sua strada. Si sentiva più forte da quando aveva contattato associazioni ambientaliste di tutta Italia, riuscendo a coinvolgerle nella difesa dei 1630 chilometri d’acqua del fiume Sarno e dei suoi affluenti.
In altre regioni il fiume sarebbe stato un patrimonio naturalistico da proteggere e preservare per le generazioni future, da utilizzare per il trasporto e la pesca, invece in Campania la corruzione di tanti politici e l’incuria degli abitanti avevano reso il Sarno il fiume più inquinato e devastato d’Europa.
Antonio sapeva bene che nonostante gli interventi già realizzati e i soldi messi a disposizione dallo Stato e dalla Comunità Europea, non era possibile dragare il Sarno per evitare inondazioni e renderlo di nuovo navigabile poiché i fanghi tossici che si sarebbero prelevati erano difficili da smaltire sia per la quantità che per la pericolosità. Come era più che mai convinto che sarebbe stato tempo perso cercare di bonificare gli innumerevoli torrenti, resi fetidi dagli scarichi delle fabbriche e delle fogne e minacciati dal percolato derivato dalla decomposizione di rifiuti contaminati, nascosti sottoterra da mani scellerate. Bisognava invece proteggere le tre sorgenti ancora incontaminate, unire le forze e creare intorno ad esse un interesse che andasse al di là del valore ambientale.
A questo scopo organizzava delle escursioni per valorizzare le bellezze dei luoghi e diffonderne la storia.
Sin dai tempi degli Osci il fiume, cantato anche dal sommo Virgilio, era stato fonte di benessere, utilizzato come collegamento tra le varie province.
I Sarrastes ne avevano fatto la loro forza e tutte le loro divinità benefiche erano collegate al fiume ed alle sue sorgenti. Il Sarro, o Sarnus, chiamato nel medioevo Dracone, ancora prima conosciuto dai Pelasgi e dai loro discendenti Sarrastes con il nome di Sarro, nascondeva mille segreti. E mille erano i luoghi che potevano essere valorizzati con un piccolo sforzo economico e tanta buona volontà.
«Dobbiamo attirare l’attenzione sul Parco Naturale del bacino idrografico del fiume Sarno. Tutti gli Italiani dovranno considerare la nostra come la loro lotta!» andava predicando Antonio ai suoi amici e sostenitori.
La prima escursione che l’associazione Salviamo il Sarno aveva organizzato era stato un vero successo. Tanti ambientalisti provenienti da tutta la Penisola avevano potuto ammirare la sorgente ai piedi del monte S. Angelo e la bella chiesa fondata da S. Guglielmo di Vercelli, visitare i resti dell’antico anfiteatro e constatare di persona gli effetti taumaturgici dell’acqua che sgorga dalla sorgente, chiamata erroneamente Foce.
Fin dall’antichità le popolazioni che si erano succedute nel dominio di quei luoghi fertili e ricchi di fauna avevano venerato la sorgente, e i Romani vi avevano addirittura eretto un tempio alla Dea dell’Abbondanza.
A testimonianza di quel fulgido passato, presso il fiume erano stati rinvenuti oggetti votivi e statuette propiziatrici della fertilità della terra e delle donne.
La sacralità del luogo si era riconfermata con l’apparizione della Madonna, intorno all’anno 550 d.C, durante una battaglia fra gruppi di Goti e Cristiani autoctoni. Per ricordare la vittoria, gli abitanti del posto avevano eretto una cappella votiva, venerata da tutti i Cristiani dell’agro nocerino e nolano, dedicata alla Madonna della Foce, come fu definita la madre del Cristo.
Unire gli interessi per l’ecologia, l’archeologia, le tradizioni e le credenze esoteriche di quelle zone in cui i flussi energetici terrestri erano palesi, era stata un’idea di Antonio e Francesca.
«Per ottenere visibilità e restare vivi, più che attaccare i poteri forti accusandoli dell’inquinamento del fiume e di sperperare i fondi europei per bonificare il Sarno e i suoi bacini, dobbiamo puntare sull’interesse ambientale e sui siti archeologici intorno alle aree attraversate dal fiume. Attirando gli studiosi, oltre agli ambientalisti, possiamo schierare un vero esercito e contrastare tutti gli scettici che ci considerano solo degli sbandati» arringava con veemenza Antonio agli associati e al pubblico che interveniva alle manifestazioni.
«Oltre agli scavi di Pompei, anche i ritrovamenti archeologici di Longola a Poggiomarino, l’acquedotto Augusteo di Palma Campania e le rovine romane presso la sorgente di Rio della Foce vanno valorizzati. Si potrebbe proporre un grande progetto per catalizzare l’interesse sulle sorti di quello che attualmente è il fiume più inquinato d’Europa» gli faceva eco Francesca, angosciata dai risultati delle analisi dei campioni che prelevava quotidianamente dalle acque e dalle rive del Sarno e dei suoi affluenti.
La gravità del triste primato evidenziato da Francesca stava nel fatto che il fiume Sarno bagnava territori a indirizzo prevalentemente agricolo, e gli ortaggi e le verdure coltivate intorno ai suoi alvei erano venduti non solo in Campania ma anche in altre Regioni.
Nel corso degli anni, oltre ai furti notturni dell’acqua con l’utilizzo di autoclavi, erano stati realizzati numerosi pozzi artesiani illegali. L’acqua prelevata veniva utilizzata per scopi industriali, civili e agricoli, sottovalutando il pericolo costituito dalla presenza di metalli pesanti e agenti chimici scaricati nei canali da industrie metallurgiche e siderurgiche, dallo sversamento delle fogne, dalle muffe create dagli scarti di lavorazione di concerie, segherie e industrie alimentari.
Tutti quei veleni venivano assorbiti dai prodotti agricoli, causando gravissime malattie. Il numero dei morti per cancro era in pauroso aumento, uno sterminio di vite umane che poteva essere evitato solo grazie a una efficace salvaguardia di quello che un tempo era considerato il Dio Fiume.