martedì 25 maggio 2010

IL MISERABILE


IL MISERABILE
L’odore di disinfettante dava allo stomaco. Per un uomo nato e vissuto in aperta campagna, come Mario Verza, l’aria viziata della corsia dell’anonimo ospedale faceva provare dei capogiri. Con lo sguardo cercò inutilmente di trovare una finestra aperta con l’intenzione di avvicinarsi ad essa e inalare una boccata d’aria. Ma per timidezza evitò di alzarsi dallo stretto e duro sedile di plastica ove lo aveva fatto accomodare l’infermiere del Pronto Soccorso, trattandolo con scortesia a causa dei vestiti sporchi e consunti propri di chi si fosse recato con urgenza in ospedale venendo direttamente dai campi. Preferì stare a capo chino con la vecchia berretta fra le mani inspessite dai calli, facendo finta di non notare gli sguardi disgustati o ironici della gente che aspettava nella piccola sala d’attesa.
In silenzio ripeteva una commossa invocazione, sperando che l’esito di quell’estenuante attesa non fosse come quello di pochi anni prima, quando aveva condotto in un altro ospedale il suo povero figlioletto, morto dopo un po’ per problemi respiratori a soli dodici anni d’età.
Quella mattina si era alzato all’alba come ogni giorno e si era recato nel piccolo podere avuto in eredità dai genitori, dove lui e la moglie Adelina ricavavano gli ortaggi che portavano al mercato e con cui andavano avanti tra stenti e privazioni, quando Beppe, il suo vicino di casa, era corso fin giù alla vallata per dirgli che Adelina stava male e urlava per un forte dolore al basso addome.
Erano alcuni giorni che la donna aveva la febbre e non se l’era sentita di portarla con lui a lavorare nei campi. Il medico generico le aveva prescritto degli antipiretici senza neanche visitarla, dicendo che erano sintomi di stagione e sarebbero passati in pochi giorni. Lasciò il vecchio motorino e salì in fretta e furia nell’auto di Beppe, arrivando pochi minuti dopo dalla moglie, pallida come un cadavere, che si dimenava sul pavimento, contorcendosi dal dolore. Vedendo arrivare i due uomini, per un istintivo pudore, Adelina cercò di coprirsi l’addome, spiegando al marito che appena le era cominciato il ciclo mestruale aveva avvertito delle fitte lancinanti al basso ventre e il sangue usciva copioso e inarrestabile.
Lo sconvolto Mario la strinse a sé fra le braccia divenute d’acciaio per il troppo lavoro e pregò il vicino di accompagnarlo al primo ospedale. Ed era nella sala d’attesa di quello stesso ospedale che era seduto, impacciato e incapace di rivolgere la parola a chicchessia, fissando la porta che si era chiusa molte ore prima dietro la barella ove avevano sdraiato la sofferente Adelina.
Si era fatta sera quando alcuni medici uscirono parlottando fra loro e si avvidero del contadino seduto sul piccolo sedile attaccato al muro. La timidezza impediva a Mario di chiedere informazioni, e sperò che almeno questo gruppetto di medici e infermieri gli dicesse cosa fosse successo alla sua amata Adele.
Forse fu il suo sguardo supplichevole ed eloquente, o chissà, una sensibilità da parte di uno dei medici, che fece fermare il dottore a pochi passi dall’uomo seduto e gli chiese chi attendeva.
«Stamattina ho portato mia moglie, Adele Ruocco, con una forte emorragia. Sa qualcosa sul suo stato di salute, dottore?»
«Ma come!» urlò il chirurgo. «È da prima di pranzo che la signora Ruocco è stata ricoverata in ginecologia e nessuno si è preoccupato di avvisare il marito?»
«Non sapevamo che ci fossero parenti in attesa in Pronto Soccorso e la signora a causa del suo attuale stato di confusione non ci ha detto nulla.» tentò di giustificarsi uno degli infermieri.
«Ormai è fatta!» aggiunse il medico alzando le spalle. «Venga con me al piano di sopra signor Verza, le spiego come stanno le cose.
Vergognandosi per le tracce di terra che lasciavano i suoi scarponi da contadino, che provocavano non pochi risolini ironici fra gli addetti ai lavori e i parenti dei pazienti, Mario seguì l’uomo in camice verde fin dentro un piccolo studio ricolmo di cartelle cliniche e schede mediche. Fatto accomodare l’impacciato fattore, il professionista - che si era presentato come il professore Alfonso Rega - prese una cartella al cui frontespizio era postato il nome della donna ricoverata e chiese varie informazioni al marito.
«Mi sta dicendo che lei e sua moglie abitate in un paesotto in aperta campagna, ma sa se in passato la signora Adele sia vissuta in qualche grosso centro industrializzato, oppure abbia lavorato in qualche industria chimica, metallurgica o siderurgica?»
«Conosco mia moglie da quando è nata, dottore!» asserì Mario. «Da ragazza aiutava i suoi genitori nell’orto che confinava con il mio e appena maggiorenni ci siamo sposati. Eccetto un paio di brevi viaggi, non ci siamo mai spostati dal nostro paese natio e abbiamo sempre lavorato nei campi poco distanti dalla nostra casa, dove lavoriamo tuttora.»
«Avete figli?»
«Ne era sopravvissuto solo uno ai tanti aborti spontanei che ha subito mia moglie, ma il nostro adorato Roberto è morto tre anni fa per problemi respiratori.»
«Ha delle cartelle cliniche di suo figlio?»
«Io non ho niente. Magari ce l’ha il nostro medico curante che ha seguito la malattia di mio figlio da quando è nato fino alla sua tragica fine.»
«Va bene così per adesso, signor Verza. Queste informazioni mi servono per capire qualcosa di più della patologia di sua moglie.»
«Ma cosa è successo a mia moglie?»
«Questo glielo saprò dire dopo che avremo realizzato una laparoscopia; per adesso dai sintomi non mi sento di escludere che sua moglie sia affetta da endometriosi. Una forte infiammazione all’utero. Per realizzare questo esame bisogna sottoporre la paziente ad anestesia totale, per questo le chiedo di firmare questa liberatoria per tutelare l’ospedale da qualche effetto collaterale posteriore l’anestesia.»
«Madonna benedetta! Povera moglie mia. Cosa posso fare dottore?»
«Per adesso ben poco. Al massimo può andare dal suo medico curante e farsi dare tutta la documentazione che ha raccolto su sua moglie nel corso degli anni. Ho bisogno di tutti gli elementi per fare una giusta anamnesi di questo caso.»
Detto ciò, il bravo medico si alzò e porse la mano al contadino che gliela strinse con delicatezza per paura che la sua dura mano potesse ferire quella curata del dottore. Andò quindi al capezzale della moglie, posta su un letto di una camera con molte altre pazienti, e la trovò ancora debilitata per la grossa perdita di sangue e instupidita dai forti antidolorifici.
Si strinsero la mano e piansero in silenzio per non farsi sentire dagli altri pazienti e dai loro parenti, non accorgendosi che il chirurgo li stava osservando dal fondo del corridoio.
«Cosa pensi?» gli chiese il suo amico e collega, seguendo lo sguardo dell’altro e fissando anch’egli i due fattori.
«Ai sintomi di quella povera donna. Se non sapessi per bocca del marito che lei ha vissuto tutta la vita in un ambiente incontaminato, avrei diagnosticato che lei sia stata a contatto diretto con inquinanti organici persistenti.»
«I pop? E dove vuoi che abbia inalato o ingerito delle diossine? La mia famiglia è natia di un paese vicino a dove risiedono quei due, e anch’io, come tanti nostri concittadini, mi reco spesso in quella zona dell’entroterra per comprare frutta, verdura e prodotti caseari sani e naturali.»
«È questa la mia preoccupazione!» disse Rega annuendo. «Se il mio sospetto che la patologia della donna è dovuta ad agenti carcinogeni come il Pcdd oppure il Tcdd, non ha avuto possibilità di assorbirli in altri luoghi se non nel luogo in cui è sempre vissuta. Domani voglio parlare con il mio amico oncologo e chiedere al marito della donna di fare delle analisi anch’egli. Voglio togliermi questo dannato tarlo dalla testa.»
Mario per più di una settimana si divise fra il campo la mattina e il capezzale della moglie al pomeriggio. La donna non tendeva a migliorare nonostante con la fine del ciclo mestruale fosse diminuita anche la febbre. Nessuno si prendeva la briga di dargli spiegazioni sul protrarsi della decenza della moglie, e il solo dottor Rega di tanto in tanto si faceva vedere e cercava di rassicurarlo senza però chiarirgli la situazione. Anzi chiedendo lui al fattore se avesse avuto le cartelle cliniche dal medico curante e se si fosse fatto le analisi del sangue e delle urine come gli aveva consigliato.
Ma l’umiltà con cui Mario chiedeva i documenti al suo medico di famiglia, e la sua innata riverenza verso qualsiasi “colletto bianco” non avevano portato a nessun risultato e l’uomo gli aveva anche risposto in malo modo quando il timido contadino aveva reiterato le sue richieste.
«Ma quale cartella clinica vuoi?» rispose l’attempato dottore di paese che si preoccupava più della sua carriera di politico locale che non della salvaguardia dei suoi pazienti. «Tuo figlio aveva problemi di asma bronchiale da quando era nato e questo lo ha portato alla tomba. Devo avere in giro da qualche parte l’attestato di morte che ho redatto quando mi chiamarono all’ospedale per confermare la diagnosi del mio amico primario e constatarne il decesso per cause naturali. In quanto a te non hai sintomi che giustificano la richiesta di tali analisi. Questi pivelli di medici ospedalieri credono che i soldi della sanità pubblica possono essere buttati così impunemente?»
Quello che sia il medico di paese che il modesto lavoratore della terra non sapevano era che il benvoluto professore Rega aveva mobilitato un suo caro amico appartenente ad un gruppo di agguerriti ambientalisti, che si stava industriando per monitorare la zona ove era situato il podere di Mario.
Dopo qualche settimana, da analisi condotte con la gascromatografia eseguita su alcuni campioni, l’equipe di difensori del territorio avevano scoperto che quella zona aveva una tossicità equivalente così alta da collocare quei terreni fra quelli interdetti alle attività umane. Presero alcuni campioni di acqua, ortaggi e latte delle pecore che pascolavano poco lontano e scoprirono che tutti i campioni erano contaminati con varie sostanze chimiche, e in modo maggiore da congeneri di idrocarburi aromatici policlorurati chiamati PCB diossina-simili.
La lontananza di quei luoghi da ogni centro industriale e la sua posizione poco ventilata, fece intuire immediatamente a Rega e agli ecologisti che la causa della presenza di diossine nella zona era dovuta all’interramento di fanghi tossici o all’inquinamento della falda freatica con cui i contadini della vallata irrigavano i campi. Non restò a loro altro da fare che mobilitare la Procura competente che aprì un’inchiesta per scoprire chi avesse commesso tale vile e spietato reato.
Ma il tutto venne presto insabbiato poiché il giudice competente non ritenne validi gli elementi ricavati dal gruppo di ecologisti e mobilitò dei periti di sua fiducia per fare delle controanalisi che non evidenziarono l’alta tossicità dei primi esami.
Rega non fu per nulla felice di quell’esito e si mobilitò in prima persona recandosi dal magistrato. I test fatti su Adele Ruocco erano fin troppo chiari ed evidenziavano varie patologie causate dall’assimilazione di cibi e bevande contaminate che avrebbero portato la donna alla morte nel giro di pochi anni. I sospetti del valido professionista erano che il figlio della coppia non fosse morto a causa dell’asma ma per un cancro ai polmoni o alla laringe. Come sospettava che lo stesso Mario avesse qualche tumore alla prostata o alla vescica, in base alle risposte che il contadino gli aveva dato inerenti alle domande fatte sul suo stato di salute generale.
Il magistrato lo ascoltò con il volto apparentemente attento ma con lo sguardo perduto in chissà quale lontano pensiero. Se Rega non fosse stato un esperto conoscitore dell’animo umano avrebbe potuto credere che il profumatamente retribuito difensore delle norme giudiziarie fosse interessato a ciò che gli stava esponendo con tanto fervore e con tanta completa ed esaustiva documentazione. Quello che ebbe però fu solo un vago cenno di assenso e una promessa di agire fatta a denti stretti e con gli occhi abbassati sui fogli. Come chi non ha la forza di guardare il suo interlocutore negli occhi.
Deluso dal disinteresse neppure troppo nascosto dell’uomo, Rega tornò nella sua auto e prese un’altra copia del dossier Ruocco. Guardò assorto i pochi fogli, che in quel momento gli sembrarono più pesanti di un macigno, e si diresse da Angelo, il suo amico ecologista, nella sede della piccola associazione ONLUS che dirigeva. Dopo aver raccontato all’altro di come era stato trattato freddamente da giudici e procuratori, l’amico gli consigliò di prendere il dossier e recarsi insieme a lui nella stazione cittadina dei Carabinieri per presentare una regolare denuncia contro ignoti per danno ambientale. In quel modo, se avessero trovato nuovi elementi avrebbero potuto allertare i militari che a loro volta potevano fare delle indagini ufficiali da presentare al prefetto.
Il maresciallo, comandante della caserma, ascoltò i due e sfogliò con una velocità degna di un recordman il fascicolo. Quando ebbero finito di esporre la loro versione dei fatti disse con un tono dispregiativo:
«Questo Mario Verza è solo un miserabile contadino, e magari la malattia della moglie è dovuta alla mancanza di igiene.»
«Per niente, maresciallo. Queste patologie sono derivate da esposizione o ingerimento di sostanze contaminate provenienti da industrie metallurgiche o siderurgiche che in questa zona non esistono e sono da ricercarsi nelle regioni più industrializzate del nostro Paese. Le analisi fatte dal signore qui presente con i mezzi forniti dalla sua associazione, sono molto eloquenti.»
«Come lo sono quelle fatte dai periti incaricati dal giudice competente.» ribatté il militare. «Tra le due tesi io credo in modo assoluto a quella ufficiale e non la prima fatta da privati.» soggiunse alzandosi e decretando con quel gesto la fine dell’incontro.
«Ma almeno possiamo fare delle analisi nei dintorni della discarica poco lontana?» aggiunse Angelo. «Si trova in una proprietà privata vigilata giorno e notte e ci servirebbe un permesso per analizzare le acque nei dintorni per capire se il percolato abbia contaminato qualche pozza collegata ad un’eventuale falda freatica che passa sotto la vallata.»
«Conosco personalmente l’imprenditore titolare di quell’azienda e vi posso garantire che è una persona di assoluta fiducia. Quando è stato scelto quel sito per realizzare la discarica e il centro di stoccaggio per rsu, una quindicina di anni fa, abbiamo fatto parte della commissione di vigilanza anche io e il dottore Rastelli, il medico di fiducia della famiglia Verza. Il nostro compito era di osservare che tutto fosse fatto come prescritto dall’ente appaltante, e le ditte che hanno eseguito i lavori hanno stilarono un resoconto completo delle varie opere realizzate che ho depositato personalmente presso gli uffici dell’Autorità di vigilanza regionale. Vi garantisco che tutta la zona è tuttora sicura e la causa della malattia di questa donna è da riscontrare nel modo di vivere malsano di quella famiglia e non alla discarica.»
Non avendo più nulla da dire a quell’uomo che palesava con arroganza le proprie convinzioni, i due uscirono e si recarono sfiduciati in un bar per pensare con calma alla prossima mossa da fare. Angelo convinse Rega di andare da Mario e metterlo a conoscenza di ciò che avevano scoperto. Era lui che presto avrebbe perduto la moglie e che probabilmente per la stessa causa aveva visto morire il figlio, quindi era giusto che fosse lui a decidere chi denunciare.
Lo trovarono a lavorare nel suo campo. Stava seminando il trifoglio e i lupini per operare il sovescio, con cui di tanto in tanto fertilizzava i suoi campi, usando i metodi tradizionali insegnatigli dai nonni, preferiti da lui alla concimazione chimica senza regole usata dagli altri contadini.
Non sapeva neppure perché si facesse quel tipo di lavorazione dura e faticosa, e fu contento quando Angelo gli spiegò che con il suo metodo tradizionale avrebbe avuto delle piante più forti e contenenti tutti i minerali come l’azoto nitrico. Mentre con l’uso quasi assoluto di fertilizzanti chimici, la differenza fra radici e piante non avrebbe consentito alle piante di nutrirsi di tutte le proprietà del suolo e sarebbero state molto più esposte ad attacchi da parte di funghi, muffe e parassiti, costringendo gli agricoltori a usare fitofarmaci e pesticidi.
Il contadino lo ascoltò con attenzione, e annuì quando l’ambientalista gli chiese se irrigasse con il pozzo artesiano con cui irrigavano anche gli altri contadini della vallata.
«Mario, è inutile una coltura biologica come la tua se l’acqua e l’aria sono inquinate. Tu mi dici che nel tuo campo usi come concime solo composti organici ricavati dai fanghi decontaminati della vicina discarica, ma se qualcuno ti inquina l’acqua con cui irrighi la tua insalata, oppure non ti fornisce concime organico completamente decontaminato da diossine, i prodotti che ricaverai dal tuo orto non saranno diversi da altri che sono stati coltivati in un suolo inquinato.»
Spiegarono tutta la faccenda che avevano supposto al povero uomo che ascoltava con le lacrime agli occhi. Sapere che la moglie avesse pochi anni di vita e che probabilmente anche lui avesse il cancro a causa di qualcuno che desiderava arricchirsi di più e di qualcun altro che doveva controllare e non aveva controllato, lo annientò. A quella spietata gente non era bastato far ammalare o morire i suoi cari, e se l’erano presa pure con quel campo che era tutto ciò che possedeva. Tutto il suo mondo era la sua famiglia e il suo piccolo podere e glielo avevano distrutto.
«Cosa posso fare?» chiese con un sussurro che sembrò un lamento. «Io sono solo un piccolo contadino ritenuto da tutti un miserabile!»
«Per adesso niente!» gli rispose Rega. «Ma verrà un giorno in cui anche un miserabile farà sentire la sua voce. Spero che questo avvenga pacificamente e non con il ritorno delle sanguinose rivolte di classe. Altrimenti per l’uomo non ci sarà più un domani e si estinguerà a causa della sua stessa demenzialità.»

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